Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Diavoli tarocchi e altre storie

I tarocchi in pagine di letterati dal Seicento all’Ottocento

 

Andrea Vitali, aprile 2017

 

 

Antonio Maria Spelta - Anonimo verseggiatore lombardo - Giuseppe Manzoni - Paul Lacroix

 

 

Son ben tarocchi

 

Di Antonio Maria Spelta (1559-1632) abbiamo descritto brevemente la vita e l’ordine dei Trionfi da lui riportato nell’opera La Saggia Pazzia pubblicata nel 1607 1, scritta ‘a difesa delle persone piacevoli, & à confusione de gli arcisavi, e protomastri’, cioè contro coloro che si vantavano di sapere senza avere in realtà alcuna cognizione. Ed è proprio dal Capitolo VII dedicato ai Gloriosetti, & Ambitioselli sotto l’argomento ‘Pazzia Dilettevole’ che riportiamo un passo dove l’autore, mettendo quest’ultimi alla berlina, li descrive considerare gli altri, ovvero i veri sapienti, alla stregua di tarocchi, vale a dire persone di alcun valore, dei pazzi 2: “Quando un Pollone (1) và in furia, non la grandeggia sì bene, quanto costoro ne’ circoli per farsi tenere bei Cervelli. La dove questi cervellini ambitioselli vanno à vela à più potere, alzati dal Garbino [il vento Libeccio] della gloria per dritto, & per traverso. Uno saprà con gran fatica metter insieme quattro versami, & si terrà un Vergllio, overo un’Ariosto. Havrà à pena imparato l’Alfabetto Greco, & vorrà essere tenuto un’Isocrate, riputandosi saper tanto, che gli altri siano tarocchi” 3.

 

(1) Pollone = rampollo, giovane di buona famiglia.

 

Nel Capitolo VII laddove l’autore tratta della Pazzia de gli Astrologi, sempre sotto l’argomento ‘Pazzia Dilettevole’, troviamo di nuovo la parola ‘tarocchi’, dove vengono considerati tarocchi quindi dei matti, coloro che si affidano agli astrologi. Dopo una trattazione sulla falsità scientifica dell’Astrologia, lo Spelta così continua: “Né questo si dee tacere, che à gli Imperadori Filosofi Medici, & Poeti furono publici honori decretati, e statue inalzate; ma a sorte niuna d’Astrologo questa carezza fù fatta. Se bene Plinio scrive, che à Beroso per veri pronostici predicationi furono fatte statue con la lingua d’oro 4; Sé Beroso predisse cose vere, non le predisse per osservatione Celeste, mà per altro, come le Sibille 5. Che dite Signori Astrologi con i vostri Pronostici, Tacuini, & Lunarij pieni di tante menzogne, ricchi di tante bugie, che fanno star le persone melānconiche, predicendo il mal’ànno, che venga à quelli, che vi danno credito: Dè miei quattrini nō spenderete. Sono ben tarocchi, quelli che vi danno fede” 6.

 

Gran sorte ne' tarocchi

 

Nel volume Saggio di Poesie in Prosa d’un verseggiatore lombardo pubblicato in Sicilia nel 1791, troviamo descritta con dovizia di riferimenti alle carte dei Trionfi (Arcani Maggiori), carte numerali e di corte, una partita a tarocchi. L’autore non rivelò il suo nome, ma con una specie di indovinello posto in chiave poetica a mo’ di sonetto diede indicazioni per farsi riconoscere. Così egli scrive:   

 

“Ma chi è l'Autore di cotesto libro sento che tu mi ripigli? O quì sta lo punto. Vuoi tu veramente conoscerlo? Ascolta:

 

                                                      Desso è un uom che un tempo Frate

                                                                 Della tonaca se gitto,

                                                                 Come l'abito d'Aba

                                                                 Pria lasciò senza delitto.

 

                                                      Il candor di lealtate

                                                                 Portò sempre in volto scritto

                                                                 Conservando fra le ingrate

                                                                 Sue vicende un cuore invitto.

 

                                                     Applicossi a più mestieri:
                                                                 Fù pittor di vario modo,
                                                                 Sonator come i barbieri,

 

                                                     Fu di genio ognor romito;
                                                                 Si legò in marital nodo;

                                                                 Né invidiar può alcun marito.

 

 

Il racconto in versi baciati risulta alquanto intrigante per diversi motivi, fra cui l’informazione che chi perdeva, oltre a dover pagare gli avversari, avrebbe dovuto sottostare a una lieve punizione, il cosiddetto ‘paga pegno’, come accadde al Pievano nonché Arciprete Faruffino, costretto a ballare per il divertimento degli astanti. Il gioco di carte, chiamato Balocca 8, termine che sta a significare ‘perdere tempo, gingillarsi, oziare’, si svolge nei dintorni della città lombarda di Comazzo.

 

Si descrive una partita di Balocca 

fatta nella villeggiatura

di Comazzo

 

Se chiedeste mie Signore
Come quì si passan l'ore
Dalle Dame e Cavalieri,
Vi rispondo: ai tavolieri:
Son serene le giornate,

     E non fannosi trottate; (1)

Fregio 

Il giardino è delizioso,
E d' andarvi niuno è ansioso,
Perchè tutto il dì si gioca
La bellissima Baloca,
Che gli spirti elettrizzando
Caccia i tetri umori in bando,
Qual piacer vedere unito
Col fratel moglie e marito
E la Borri al tavolino,
Col Piovano Faruffino
Che tal nomasi quel Prete,
Che ci è dato in Arciprete.
Che piacer veder la furia
Di talun che perde e infuria,
O la flemma di qualch' altro
Più pacifico e più scaltro,
Che con certa astuzia vaga
Sempre perde e mai non paga.
Che delizia che piacere
Quando intorno al tavoliere
Sta assistendo spettatore
Don Giovanni e il Senatore.

fregio  

Arciprete, tocca a lei:
Tocca a me? Quattro e due sei;
Mi perdoni dove ha gli occhi?
         Quello è il cinque di tarocchi: (2)      
Ha fallato nel contare:
Favorisca di ballare.
Egli balla, e una risata
Fa le veci di sonata
Oh che carte maledette!
Dice un altro: non ho un sette:
Un sol fante non ho fatto,
E di più perdei Bagatto:
Disgraziato quando mai
A giocare incominciai! 
L'un s'arrabbia e si dispera,
L'altro fa cattiva cera;
Quelli batte il tavolino,
Questa duolsi del vicino:
                 V'è chi ride, v'è chi trilla, (3)           
E persin chi piange e strilla.

Ma del bel divertimento

L'Arciprete è il condimento.

Fregio 

Il buon uom di sì bel gioco

Veramente ne sa poco;

E per quanto a giocar seguita

La Fortuna lo perseguita.

Egli mai non vede il Matto,

E per giunta ad ogni tratto

Con terribile tarocco,

     Il vicin lo fa balocco. (4)

Esso allor lo ciglio inarca,

E pagando la sua marca

     Fa una cera che Marfisa (5)

Scoppierebbe dalle risa.

Se una carta a prender ha

A guardarla un pezzo sta

Tal che par uomo tentato

A commettere un peccato:

E qual or la porta via,

Dice sempre un bel: Su via.

Egli abbassa un Fante, un Re,

E il vicin lo tira a se:

         Su la tavola v’ ha un nove;    

        Egli ha in mano il diciannove: (6)

fregio 

Quindi avvien quando non falla,

Che di solito egli balla.

Ma il più fiero colpo e strano

È al finire d'ogni mano;

      Quando id est si fanno i conti (7)

Delle carte, onori, e ponti,

E tarocchi, e imperiali,

          E seguenze, e specie uguali: (8)

Oh allor sì che se il vedeste,

Mie Signore, ridereste.

Ne’ tarocchi ella è gran sorte

Se fa il diavolo o la morte:

Il Vent’un, Bagatto, il venti

Non è pan per i suoi denti:

       Imperial, punti, figure (9)

 Le son perdite sicure.

Ma le carte e le sequele   

Son la botta più crudele.

Or chi pingere può mai

L' uom dabbene in questi guai?

Fatto il conto a un batter d'occhi

Del divario de' tarocchi,

fregio 

Sentireste i fortunati

Due germani Setuprati,

Quando questa, quando quella

Gentilissima Sorella

Esclamar con voci liete:

Siam da lei caro Arciprete.

Colla piccola io ne conto,

Se non fallo, dieci in ponto,

Trenta carte, quattro Re:

Sono i punti venti-tre.

Egli allor con cera mesta,

Ecco quì cosa mi resta:

Ho due dame da una parte,

Un tarocco e sette carte:

Favoriscan dirmi quanto

Numerar ne debbo intanto;

E grattandosi un orecchia

A pagare s’ apparecchia.

Il maggior piacere è poi,

Quando fatti i conti in doi

Egli crede aver finite

Le pagabili partite,

 fregio

E di debiti convinto
Vien dal quarto ovver dal quinto
Trenta carte Signor mio,
Dirà un altro, ho fatto anch'io;
Quindi è d'uopo che anche a me

Paghi marche venti-tre

Egli allor si volge in giro,
E dal cuor tratto un sospiro,

Su via bravi: alla buon ora,

Han finito, o ce n' ancora?

Sono in debito con tutti

E sto sempre a denti asciutti:
Tre cavate ho già finite
Senza vincere partite:  
Poi con faccia tetra e smorta
Tal or dice: non importa.
Allor s'alza d'improvviso
Uno scoppio tal di riso,
Che convien per non crepare
Esalarsi col gridare.
Rider sentesi di cuore

Don Giovanni e il Senatore,

fregio 

Che a sfibbiarsi è fin tenuto
Il giubbone di velluto.
Ma la Borri ride a segno,
Che il buon uom ne sente sdegno,
E con voce assai dimessa,
Rivolgendosi alla stessa,
Forse, dice, ho pronunciata
Una qualche baggianata?
E la Borri che vorria
Con l' usata cortesia
Accertarlo del rispetto,
Che per lui conserva in petto
Non puo a men per mala sorte,
Che in un riso uscir più forte.
Mie Signore, e negherete
Che a giocar con l'Arciprete,
Voglio dir quel di Comazzo
Non sia proprio un gusto pazzo?
O bellissima BALOCA
Che gli sdegni eccita e infoca
In cotesti luoghi acquatici
Degli spirti più flemmatici.

 fregio

Degna in ver che ogn'un ti lodi
Con soavi accenti e modi!

 

 

(1)  non fannosi trottate = senza correre, senza fretta

(2)  cinque di tarocchi = il Papa

(3)  trilla = da trillare, emettere suoni acuti e modulati

(4)  lo fa balocco = lo fa sentire un balordo

(5)  Marfisa = Marfisa, la donna guerriera descritta dall’Ariosto nell’Orlando Furioso

(6)  il 19 = la carta del Sole

(7)  id est = nel nostro caso, in questo specifico caso

(8)  seguenze = sequenze, un particolare tipo di abbinamento di carte

(9)  imperial = le carte dei Trionfi

 

Una ciurma di diavoli tarocchi

 

Monsignor Giuseppe Manzoni nato a Venezia nel 1742 e colà morto nel 1811, scrisse moltissime opere di carattere didattico quali le Favole ad uso dei fanciulli e le Regole per bene scrivere l'italiano ad uso delle scuole. Fu sostenitore della necessità che gli studenti imparassero la lingua italiana prima di qualsiasi altra, latino compreso. Il suo scritto del 1760 Ritratti critici, ovvero brevi pitture dei vizi e delle stravaganze di questo secolo, data alla luce venti anni dopo, è considerata l’opera più importante accanto ai diversi poemetti fra i quali eccellono Le astuzie di Belzebù, ovvero Censura degli abusi del carnovale e della quaresima 10 e Le tre Veneri (Volgare, Apostrofia e Urania), scritto in occasione degli augusti sponsali del granduca di Toscana Leopoldo e dedicato all' imperatrice Maria Teresa.

 

Di lui così scrisse Iacopo Crescini nella Biografia degli Italiani Illustri:

 

“Il Manzoni fu così vario e fecondo il genio di lui che, per la sua modestia, sarebbe rimasto persino ignoto ai contemporanei, se gli fosse stato possibile, quando invece gli ammiratori e scolari di lui restarono presi da tanta ammirazione intorno alla universalità della sua dottrina, che, a sua insaputa, non dubitarono d’ intitolarlo nel frontispizio di alcuni libri: Professore approvato in tutte le scienze; lode, che se per molti riguardi devesi riconoscere esagerata, e men vera, lascia pure a sufficienza comprendere quello che ognuno si riprometteva dalla feracità e felicità dell'ingegno di lui, per arduo che fosse stato il soggetto alle sue meditazioni proposto. Ciò si potrebbe conoscere viemaggiormente dall’ammasso dei molti manoscritti rinvenuti dopo la sua morte, fra i quali merita speciale menzione un'opera, che stava compiendo, divisa in 18 libri, intorno al Gius di natura contro le massime dei Protestanti11.

 

Il passo di nostro interesse si trova nel poemetto Le Astuzie di Belzebù, definito dall’autore di carattere ‘berniesco’. Le stanze in ottava rima del Canto I, immancabilmente gradevoli, tratta del Re degli Inferi il quale avendo indetto in occasione del carnevale una riunione di diavoli e streghe allo scopo di comprendere i progressi da loro ottenuti nella conquista delle anime all’Inferno, si trovò a dover placare una rissa scoppiata fra i diavoli stessi, i quali si erano messi con detti a evidenziare a mo’ di crescendo rossiniano quanto avevano compiuto cercando di superarsi a vicenda nel manifestare i propri successi. La bagarre inevitabile venne infine smorzata da Belzebù, facendo a tutti i diavoli abbassare gli occhi dalla vergogna. Sebbene ogni stanza sia assolutamente esilarante, ne riportiamo due a mo’ di esempio:

 

 

VIII 

 

Una magra Vecchiarda catarrosa

   Peggiore, che l’Alfana (1) dell’Arlotto (2),

Gli siede a lato. E’ strega valorosa,

   Che reso di turpezze l’uomo ghiotto,

Poscia lo cangia in bestiaccia mostrosa.

   Il mondo ell’ ha con le mode corrotto;

Fra maritati ella inventò l’usanza

Di andare scompagnati per creanza (3) 12.

 

Note dell’autore

 

(1) Alfana = nome di cavalla appresso il Berni

(2) Arlotto = un Piovano molto faceto, come si vede dalle sue novelle

(3) La moda de Damegianii è un invenzion della carne fiera nimica delle anime. Di che fu altra simile riflettendo la Poetessa Inglese Miledy Meri Montagni in una prosa sulla vita coniugale tradotta dall’ Ab. Conti in versi esclama.

                   Oh infamia! oh scorno!

Oh confusion! Le massime severe

Del Cristianesmo veggonsi commiste

Con lo Spartan libertinaggio?

 

XVII 

 

Io feci guadagnar quatro sei volte

   Le persone alle carte, che del giuoco

Eran nemiche, ed holle (1) a lui rivolte,

   Per modo, che qual uom, cui bruci il fuoco,

Ardevan di giuocar, onde sepolte

   Sì stavan ne’ ridotti, e a poco a poco

Perdevano il cappello, e la berretta

Per voglia di arrischiare alla bassetta (2) 13.

 

(1holle = le ho

(2)  bassetta = gioco di carte

 

Di seguito la rima in cui l’autore compara l’alfin star quieti dei diavoli, senza osar verbo, e con gli occhi abbassati a quei fanciulli ‘tarocchi’ che a scuola, a causa del possesso di una penna, sgridati dal precettore velocemente si dispongono al loro posto paurosi a sol emettere un fiato.

 

L’attributo ‘tarocchi’, usato qui come aggettivo indirizzato ai fanciulli, sta a significare ‘impazziti, sciocchi’, carattere messo fra l’altro in bocca al precettore nel richiamarli all’ordine (16).

 

XXIII 

 

Tacciano tutti, ed abbassano gli occhi,

   E l’uno l’altro, e questi quello guata.

Come fè ciurma di fanciul tarocchi

   In scuola per la penna, e dall’entrata

Ne odano il precettor, che gridi: Sciocchi!

   Perché tanto romor? Chì si v’ha usata,

Peste insolente? Al posto ritornati

Tutti non osan di raccorre i fiati 14.

 

Tarocchi impossibili

 

Paul Lacroix (1806-1884) oltre a occupare molti incarichi, fu scrittore prolifico: compose saggi di erudizione e pubblicò una serie di volumi di curiosità storiche. Tuttavia, i suoi lavori più letti dal vasto pubblico sono una ventina di romanzi storici, fra cui ricordiamo Le roi des ribauds: histoire du temps de Louis XII (1831), L'Homme au masque de fer (1836) Le marchand du Havre: histoire contemporaine (1839).

 

Abbiamo compiuto un breve commento su uno dei suoi romanzi nella traduzione italiana I Franchi-Talpini, ossia la Guerra della Pragheria. Istoria del tempo di Carlo VII (1440) 15, ove si racconta una ribellione dei nobili contro i sostenitori del Re. Per talpini si deve intendere i villici che scavavano buche per trovare le mine e che con questo lavoro da talpe diedero il loro sostegno al Re.

 

Di seguito il colloquio fra vari militari di grado in cui discutono sul ruolo di questi talpini:

 

“- In questo momento certo che no, disse il conte di Richemont, meravigliato di questa domanda: il mestier delle armi è grande e malagevole, di lungo e pericoloso tirocinio: certamente niuno difenderà il paese meglio di colui a cui appartiene, ma i contadini non andranno in soccorso dei loro vicini.

- Queste genti sono utili in guerra, disse a sua volta Giovanni Bureau, ma solamente come manovali e talpini per scavar le mine, e far gli approcci di una piazza: lo scavar la terra a guisa di talpe è un vero nonnulla in confronto della prodezza e della bravura della cavalleria.

- Per le gesta di la Hire! gridò Pothon, i talpini sono uomini ligii e non possono usurpare la gentilezza degli uomini nobili che consiste nelle armi, e non deve degenerare in villania.

- Sangue d’ un Borgognone! aggiunse il bastardo d’ Orleans, e sarà mai possibile che 'il signor contestabile pretenda formare una armata al re nelle tane delle talpe?” 16.

 

In un passo del romanzo, ambientato nel 1440, Lacroix cita diversi giochi, fra cui i tarocchi.  

 

“Son già dieci anni e più, al tempo che la signora Giovanna liberava Orleans dall’assedio degl’Inglesi, io non aveva allora, una numerosa banda come adesso, e cavalcavia sui confini del Poitu con soli trenta compagni di nobile prosapia impoveriti dalle guerre e chè cercavano avventure col rischio, della propria vita, tutta brava gente, di cui facevan parte Badefol e Briquet. Quanto al rimanente di detta mia truppa, si trova ora dove noi dovremo andare un giorno, non mica in paradiso certamente (e Salazard accompagnava queste parole con un riso empio ed osceno). L’uno fu ucciso mentre rapiva una ragazza, l’altro mori soffocato per aver mangiato eccessivamente; alcuni furono impiccati o decollati per i loro meriti, altri morirono coraggiosamente d’un colpo di lancia o di mazza. Il cielo ne dia altrettanto favore nella nostra ultim’ora. In quel tempo, signori, le donne erano più manierose, i contadini più facili a domare, i conventi e i tesori delle chiese più ricchi, e più grosso in conseguenza il bottino degli stradieri. I miei capelli non erano ancor bianchi, e benchè avessi già sessant’ anni io non cessava di essere superiore a tutti, sia a tavola nelle copiose beverie, sia in ogni altro genere di stravizzi, come pure nel combattimento e nella carneficina, tanto che destava in tutti la meraviglia. Noi non ci allontaneremo dalle terre del Poitu per gustare altrove nuovi vini, e nuovi piaceri; erano abbastanza deliziosi quelli di Niort, e de la Meilleraic. Giurammo per le mille carrette di diavoli di fermarci per sempre in quel delizioso paese favorito da Bacco. Un giorno di rigido inverno discutevamo sovra ciò che bisognava intraprendere per gozzovigliare sino al domane caldamente e galantemente. Giovanni opinava che si andasse a cacciare tutti i contadini dal loro villaggio; Pietro proponeva di sorprendere il castellano, la moglie e i figli nel proprio castello; un barile in mano ed una pioggia di claretto nel nostro stomaco, diceva l'uno! ai dadi, ai gettoni, ai tarocchi, diceva l‘ altro facendo risonar la scarsella! – Bah, diss' io ciascuno capi bene, che io aveva trovato oro potabile, e tutti i pareri si uniformarono al mio, che fu di entrar la notte nel convento delle monache di Partenoy” 17.

 

Poiché come sappiamo, i primi documenti che parlano delle carte dei Trionfi risalgono al 1440 18, facendo così datare per motivi di pratica d’uso la loro ideazione verso i primi anni del Quattrocento 19, considerando inoltre che il termine ‘tarocchi’ fece la sua prima apparizione all’inizio del Cinquecento, dato che precedentemente il gioco era chiamato Ludus Triumphorum, il riportare la parola tarocchi nel periodo in cui viene ambientato questo romanzo non potrà che derivare, considerato che l'autore nel testo originale francese scrive 'tarots' (Aux dés, aux jetons, aux tarots !), dalla non conoscenza storica dell’autore stesso, a cui ovviamente non se ne può dare colpa, considerati gli anni in cui scrisse il romanzo, lontano di quasi centocinquant’anni dall’inizio degli studi critici-filologici sull’argomento. Fra l’altro la parola ‘tarot’ riferito al gioco apparve in Francia, così come in Italia, nel Cinquecento. Il Lacroix, pur conoscendo la storia di queste carte 20, potrebbe aver scritto tarots poiché al tempo in cui scrisse il romanzo il gioco dei tarocchi era uno dei giochi più alla moda, per cui sarebbe stato più esotico citarli piuttosto che scrivere semplicemente 'carte'. Si tratta quindi di uno dei tanti errori che a volte purtroppo, nelle disamine dei meno attenti, possono indurre a formulare ipotesi storiche errate.

 

Note

 

1. Si veda Saggia Pazzia, Piacevole Pazzia.

2. Ritorna qui il significato di Tarocco quale Matto. Si vedano Il significato della parola Tarocco e Tarocco sta per Matto.

3. La Saggia Pazzia, Fonte d’allegrezza, Madre de’ Piaceri, Regina de’ Belli Humori, Dal Signor Antonio Maria Spelta Poeta Regio, posta in campo..., In Due Libri, Libro Primo, In Pavia, Appresso Pietro Bartoli, MDCVII [1607], p. 96.

4. “Berosus astrologia clarus, cui Athenienses statuam posere”, Plinio, Naturalis Historia, VII, 123.

5. Lo Spelta ritiene che Beroso non interpretasse gli accadimenti futuri grazie a indagini astrologiche (“per osservatione Celeste”), ma bensì per dote innate di profetismo, come le possedevano le sibille. Beroso fu un celebre astronomo vissuto fra il IV e II secolo a.C., noto per aver composto in greco la Storia di Babilonia (Βαβυλωνιακ). In ogni modo l’ipotesi che egli si dedicasse anche all’astrologia è da molti storici rifiutata.

6. La Saggia Pazzia, cit., Libro Primo, p. 47.

7. Saggio di Poesie in Prosa d’un verseggiatore lombardo, Parte Prima, In Palermo, Nella Stamperia Setuprati All’insegna del portico aperto, MDCCXCI [1791], p. 4.

8. "Sorta di gioco che si fa colle minchiate o sia con i tarocchi in due, in tre, in quattro ed anche in sei" in Francesco Cherubini, Vocabolario Milanese-Italiano, Volume Primo, A-C, Milano, Dall'Imp. Regia Stamperia, 1839, p. 62.

9. Saggio di Poesie in Prosa..., cit., pp. 98-106.

10. In Venezia, Presso Andrea Rapetti, MDCCLXIII [1763].

11. Emilio de Tibaldo (a cura), Biografia degli Italiani Illustri nelle Scienze, Lettere ed Arti del sec. XVIII, e de’ Contemporanei compilata da Letterati Italiani di ogni Provincia, Volume Ottavo, Venezia, Dalla Tipografia di Alvisopoli, MDCCCXLI [1841], pp. 378-379.

12. Le Astuzie di Belzebù..., cit. nel testo, p. 9.

13. Ibidem, p. 12.

14. Ibidem, p. 14.

15. Paul Lacroix, I Franchi-Talpini, ossia la Guerra della Pragheria. Istoria del tempo di Carlo VII (1440), Capitolo VII, Napoli, Presso Michele Stasi, 1838.

16. Ibidem, pp. 40-41.

17. Paul Lacroix, cit., pp. 139-140.

18. Si veda Bologna e l’invenzione dei Trionfi.

19. Si veda Il Principe inventore del Ludus Triumphorum.

20. Al Lacroix si deve L’Origine des cartes à jouer, 1835.

 

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