Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

I Tarocchi della Golden Dawn per Jorg Sabellicus I

(I) - Fondamenti… ed ermetismo di Éliphas Lévi

 

Di Giuseppe M. S. Ierace

 

 

«Ventidue tavole formano un libro ben poco voluminoso; ma se, come appare verosimile, le Tradizioni primordiali sono state conservate nei Poemi, una semplice immagine, capace di fissare l’attenzione del popolo, al quale veniva spiegato il fatto, serviva di supporto mnemotecnico, al pari dei versi che le descrivevano» – “M. le C. de M.”  (pag. 84, Monde Primitif, analysé et comparé avec le monde moderne, vol. VIII, 1781).  

 

«Il saggio di questo oscuro nobile [“M. le C. de M.”] sul tarocco non sarebbe mai giunto fino a noi, o anche solo apparso su carta stampata, se Court de Gébelin non l’avesse incluso nel suo libro. Esso ci obbliga a considerare il contributo del secondo non già come il prodotto della fantasia eccentrica d’un solo individuo, ma come parte d’una tradizione corrente fra i circoli illuministi di cui de Gébelin si era reso un partecipante tanto attivo: una tradizione tanto priva di fondamento, invero, come le leggende di Hiram e dei Templari che formarono la mitologia della Massoneria» (pag. 73 di “A wicked pack of cards - The Origins of the Occult Tarot”, 1996).

 

Dummett, Decker e Depaulis non si soffermano a motivare quest’ultima affermazione, lasciando (involontariamente?) ancora aperte le porte alle ipotesi. Tutte Immaginifiche?

 

“M. le C. de M.”

 

Uno dei sottoscrittori dell’opera monumentale di Court de Gébelin, e da questi presentato con l’acrostico “M. le C. de M.”, ma al secolo il conte di Mellet Louis-Raphael-Lucréce-de Fayolle, fornisce un’etimologia del termine “tarocco”, falsamente basata, in epoca pre-Champollion, su d’una lingua geroglifica “costruita ad hoc”, insieme con una sua teoria sulla diffusione delle Carte in Europa, introdottevi dagli Arabi, attraverso quelle “prime bande di Egizi - malamente chiamati Zingari”, e trasmesse agli Spagnoli.

 

Gypsies

 

A quel tempo, infatti, gli Zingari si ritenevano originari dell’Egitto, come testimonia il loro esonimo inglese “Gypsies” (da E-gyptians) e, soltanto in seguito allo  studio filologico della loro lingua vennero meglio identificati, quali Romany, o Rom, provenienti dall’India.

 

Originari di quel subcontinente (in particolare, la regione dell'attuale Rajasthan), migrarono, probabilmente a ondate successive, verso occidente, intorno all’anno mille della nostra era, quando ancora la loro denominazione primitiva ne  contraddistingueva la casta d’appartenenza di musicisti e ballerini itineranti: Dalit dal sanscrito “doma”. Questo tratto di nomadismo li avrebbe contraddistinti, in Francia, quali “Bohémiens”, poiché provenienti dalla Boemia, grazie a un salvacondotto fornito da re Sigismondo. Mentre la fama di abili musicisti, girovaghi o ambulanti, nelle regioni danubiane, procurò loro l’appellativo di “tsiganes” (dall’ungherese cigány).

 

Dall'impero persiano Ghaznavid passarono in seguito in quello bizantino, per giungere in Europa intorno al XIII-XIV secolo. I Sinti sono un sottogruppo meno itinerante, particolarmente radicato in Germania e Francia, dove si riconoscono come Manouche (“essere umano”) parlanti la stessa varietà di linguaggio dei Sinti con una forte influenza tedesca.

 

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L’Egittomania

 

In un’epoca in cui si stava già entusiasticamente diffondendo l’Egittomania, è pure abbastanza probabile che certe idee cominciassero a circolare in determinati ambienti culturali, in particolare quelle sette occultistiche, allora molto in voga, per pervenire, a volte, in modo perfettamente analogo, ma, altre volte, anche difforme, a degli stessi contemporanei.

 

Le Monde primitif

 

Antoine Court de Gébelin, l’autore de Le Monde primitif, incominciato nel 1773, fu tra i padri fondatori dell’Ordine dei Filaleti, filiazione della Loggia Les Amis Réunis, nella quale sarebbero confluiti, unitamente agli archivi, molti membri dell’Ordine degli Eletti Cohen, dissoltosi nel 1781, lo stesso anno della pubblicazione dell’VIII volume di quella sua specie di “enciclopedia esoterica”. Riguardo agli aspetti misterici dei Tarocchi, il de Gébelin si sarebbe pertanto attenuto a delle idee che s’andavano già propagando nelle Logge massoniche (e specificatamente martineziste, dal teurgo Jacques de Livron de la Tour de la Case Martines de Pasqually) e nei circoli occultistici della sua epoca, come, forse, quello stesso salotto di “M.me de C. d’H.”, dove all’autore de Le Monde Primitif sarebbero stati presentati, o rivelati, i Tarocchi.

 

Henri Bertin

 

Un erudito sinofilo, autore d’una grande collezione di «Mémoires concernant les Chinois», - nonché, grazie alle indagini sulla fabbricazione della porcellana e del caolino ricevute da Pechino, responsabile della Manifattura reale di Sèvres -, Monsierur Henri Bertin, gli avrebbe riferito d’un reperto monumentale cinese, risalente alle prime ere di quell’Impero e considerato una testimonianza del prosciugamento delle acque del Diluvio, dalle caratteristiche straordinariamente simili a quelle del “tarocco” e tali da indurre a ritenere entrambi (carte e reperto) basati su una medesima concezione iconologica, in relazione all’applicazione della formula rituale impostata sul numero Sette, presumibilmente anteriore alle civilizzazioni cinese ed egizia e verosimilmente comune anche ad altre culture stanziate geograficamente tra di esse, come la tibetana e l’indù (e, a proposito, vanno ricordati: Tare buddhistee Shivasutra).

 

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William Andrew Chatto (1799–1864)

 

In “Facts and Speculations on the Origin and History of Playing Cards” (1848), William Andrew Chatto (1799–1864), membro onorario della Società degli Antiquari di Newcastle-on-Tyne, affermava che le stesse carte da gioco provengano dalla Cina, dove sarebbero state inventate durante il regno dell’imperatore Seun-Ho, per divertire le sue concubine annoiate.  

 

Jean Alexandre Vaillant

 

Lo schema cinese sarebbe stato suddiviso in serie, o compartimenti, impostati sulla numerologia settenaria e, come osservò Jean Alexandre Vaillant, in Les Romes, histoire vraie des vraies Bohémiens (E. Dentu, Paris 1857), «assomiglia tanto da vicino ai Tarocchi che i quattro semi di questi ultimi occupano le sue prime quattro colonne; dei ventuno atouts, quattordici occupano la quinta colonna, e gli altri sette la sesta. Quest’ultima colonna di sette atout rappresenta i sei giorni della settimana della creazione. Ora, secondo i Cinesi, questa rappresentazione appartiene alle prime epoche del loro impero, fino al prosciugamento delle acque del diluvio per opera di IAO; se ne può dedurre, pertanto, che si tratta d’un originale o d’una copia del Tarot e che, in base a ciò, ha un’origine anteriore a Mosé, in quanto appartiene agli inizi della nostra era, all’epoca della definizione dello zodiaco; di conseguenza, vanterebbe 6600 anni di esistenza».

 

Astaroth

 

Per lo storico e linguista franco-rumeno, attivista della causa valacca e abolizionista dello schiavismo rom, occorre focalizzare bene il termine Astaroth, plurale di Ashtoreth, in riferimento alla presenza di più immagini della fenicia divinità femminile Astarte.

 

Venendo traslitterato in greco antico e in latino, perde l'accezione di genere, ma forse non quella plurale, dell'originale ebraico e potrebbe essere una chiave per svelare il significato degli Arcani dei Bohémiens: “As-Taroth”, assimilabile all’indo-tartaro “Tan-Tara”, zodiaco.

 

A una tale etimologia può aggiungersi pure il “sentiero” egizio (Tar), la “stella” sanscrita (Tar, oppure Tat, tutto), come pure il “principio” cinese (Tao).

 

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I cartai tedeschi e italiani

 

Giudicando le Carte in uso a Parigi fin troppo recenti, De Gébelin riteneva anche l’antica, e misterica, dottrina sapienziale degli Arcani, se non proprio mal interpretata, piuttosto approssimativamente compresa dagli ignoranti primi cartai europei, in genere tedeschi e italiani. Papa e Papessa, Abate o Abbadessa, starebbero per Padre e Madre, Adamo ed Eva, o Giove e Giunone?

 

II e V

 

«Il numero V rappresenta il Capo dei Gerofanti, o Gran Sacerdote, e il numero II la Grande Sacerdotessa o la Donna; si sa che in Egitto i capi dei sacerdoti erano sposati. Se queste carte fossero un’invenzione dei Moderni, non vi apparirebbe la Grande Sacerdotessa, neppure sotto il ridicolo nome di Papessa, che le è stato attribuito dai Cartai tedeschi».

 

Ma la vera natura di Sibilla o Vestale, dai protestanti, sarebbe potuta essere appositamente rivestita con la scandalosa figura leggendaria della Papessa Giovanna. E, poi, il Bagatto, l’Appeso, o il Giudizio (“universale”?).

 

La collezione George Clulow

 

Nel saggio “Approfondimento sulle carte”, contenuto ne “I Tarocchi della Golden Dawn” (a cura di Jorg Sabellicus, Edizioni Mediterranee, Roma 2023), John Wiliam Brodie-Innes (considerato uno dei maestri d’occultismo di Dion Fortune) cita, giudicandola magnifica, nonché “modello per tutte le raccolte di tal genere”, la collezione di carte da gioco del direttore della fabbrica di stampatori Charles Goodall & Son., George Clulow.

 

“Il ciabattino”

 

In essa ravvisò la persistenza dell’imprecisione nella copia di disegni corrotti da decori floreali o arabeschi privi di significato, e financo da oggetti di maggiore familiarità, come, per esempio, arnesi da ciabattino in sostituzione dei misteriosi  strumenti magici del Bagatto (Pagad/ Pogod).

 

L’Appeso

 

Court De Gébelin venne pure fuorviato dal XII Arcano, considerato alla stregua d’un errore di posizionamento nella raffigurazione d’un “normale” impiccato, senza intravedere il vero significato, intenzionale, della collocazione rovesciata, con le gambe incrociate, dell’Appeso.

 

Il Giudizio

 

La ventesima carta, del Giudizio, sembra sia stata ridisegnata nella reminiscenza cristiana degli affreschi rinascimentali illustranti l’escatologia d’una finale apocatastasi in cui i morti risorgono dai loro sepolcri allo squillare della settima tromba dell’Apocalisse (XI, 14-9).

 

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Etteilla, il cartomante

 

Anche l’alchimista, e cartomante, Etteilla, anagramma del suo reale patronimico Alliette, costituì e diresse a Lione il rito massonico, in sette gradi, Des parfaits initiés d'Egypte, e rappresentò perciò appropriatamente il progetto mistico dei Tarocchi nel tempio di Ptah a Menfi: “Su un tavolo o un altare, all’altezza del petto del Magus egiziano (o Ierofante) v’erano da un lato un libro o un insieme di carte o lastre d’oro (il Tarot), dall’altro un vaso…” (in ricordo dunque dei canopi osiriaci?).

 

“The Forty-Five”

 

Il suo mazzo è stato totalmente ridisegnato per seguire intraprendenti idee simbologiche, e recondite, in funzione prettamente divinatoria.

 

Ed è l’uso che ne stava forse facendo un’ospite della principessa Palestrina, interrogata su questo da Carlo Edoardo Stuart, come riportò Philip Henry Stanhope, Viscount Mahon, in un estratto dalla sua "Storia d'Inghilterra", - “The Forty-Five”, un racconto della rivolta giacobita del 1745 (pubblicato a Londra da John Murray, Albemarle St., nel 1869). Al pretendente giacobita quella signora inglese, in viaggio in Italia, rispose in merito al “metodo” che usava per “maneggiare” qualcosa che poteva presentare diverse modalità d’impiego e riservare differenti intenti.

 

Quali gli scopi?

 

Se non fosse per quei 22 Arcani maggiori ci troveremmo di fronte a banali carte da gioco, il cui interesse potrebbe essere quasi esclusivamente storico e artistico; altrimenti, quell’insieme costituirebbe un libro di figurazioni grafico-simboliche da interpretare in chiave mistica, cosmogonica ed evolutiva, in relazione all’intero universo o all’anima individuale, quali oscuri emblemi occulti finalizzati a scopi iniziatici; e ciò presuppone che l’ordine delle carte sia immutabile, perché perfettamente corretto e definitivo. In caso contrario, la disposizione casuale, determinata da una successione di scoperture, attuate dopo previsti rimescolamenti e tagli, deporrebbe per un impiego quale strumento divinatorio; ma a quest’ultimo, come al primo, scopo non basterebbero le comuni cinquantasei numerali, minori, suddivise per seme?

 

Jean-Baptiste Pitois

 

Un’idea ampliata da un discepolo di Éliphas Lévi, Paul Christian (Jean-Baptiste Pitois), in Histoire de la Magie, du monde surnaturel et de la fatalité à travers les temps et les peuples (Fourne, Jouvet et C., Paris 1870), con l’inserimento della spiegazione dei ventidue geroglifici dei Trionfi nelle cerimonie d’iniziazione ispirate al testo berlinese “Crata Repoa; oder Einweihungen der Egyptischen Priester” del 1785.

 

Tali “Misteri”, officiati nell’antica Tebe, fin troppo somigliano, però, ad alti gradi della Massoneria dell’epoca, suddivisi in un sistema settenario: Pastophoros, Neocoros, Melanophoros, Kistophoros, Balahate, Astronomos, Propheta .

 

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L'Homme Rouge des Tuileries

 

Ne “L'Homme Rouge des Tuileries” (publié par l'auteur, rue d'Angouleme, 22, Champs-Elysées, Paris MDCCC LXIII), Paul Christian introdusse i termini di “Arcani maggiori” per i 22 Trionfi (altrimenti chiamati atouts da Court de Gébelin, lame da Etteilla e chiavi da Eliphas Lévi) e “Arcani minori” per le 56 carte numerali e di Corte; inoltre, l'attribuzione del nome di Mago al Bagatto, e di Iside-Urania all'Imperatrice, nonché di Fatalità alla XV lama dal significato altrimenti esageratamente “satanico”.

 

Wirth, il tradizionalista

 

A riportare l’iconografia degli Arcani “marsigliesi” al simbolismo medievale delle cattedrali, con “Le Tarot des imagiers du Moyen Âge” (Paris 1927), fu un altro ben noto Libero Muratore elvetico, Oswald Wirth, discepolo e segretario d’un celebre occultista ottocentesco come Stanislao de Guaita, in un tentativo di “ricondurre alle proprie origini” le diverse fonti tradizionali in comune.

 

Constant, il teurgo

 

Pur aderendo all’ala socialista della Massoneria francese, Alphonse Louis Constant volle ebraicizzare il proprio nome in Éliphas Lévi, e ricollegare la “dottrina” delle Chiavi (dei Tarocchi) alle speculazioni cabalistiche, in un ancor più completo sistema teurgico, di cui ha lasciato importante sintesi in celebri opere sull’Alta Magia (Dogme et rituel de la Haute Magie, 1855-56).

 

La Clavicola dei Tarocchi

 

Sebbene fosse un discreto artista, non sembra che per illustrare le sue teorie abbia disegnato una propria versione di quella che per lui sarebbe stata una sorta di “Clavicola” più antica di quella salomonica; forse, ci stava lavorando senza mai riuscire a completarla?

 

Gedulah e Geburah

 

Incluse, però, l'illustrazione della settima carta (Il Carro) nel 22 capitolo, intitolato “Il Libro di Hermes”, del secondo tomo della sua celebre opera: «… tra i quattro pilastri, un vincitore, coronato da un cerchio, ornato da tre raggianti pentagrammi dorati. Sul suo petto ci sono tre quadrati sovrapposti, sulla sua spalla l'Urim e il Thummim del sovrano sacrificante, rappresentati dalle due mezze fasi della luna in Gedulah e Geburah…».

 

Questa coppia rappresenta la Gloria e la Severità, e l’immagine di quest’ultimo Sefiroth è un Re in piedi su un carro da guerra; mentre un Re assiso in trono sta per Grazia, Carità e Misericordia.

 

E la lettera zain?

 

Seguendo l’ordine dell’alfabeto ebraico, la settima lettera è zain, che significa “spada”; e, difatti, il settimo capitolo, intitolato “La spada infuocata”, de La Dottrina dell’Alta Magia, che poi divenne il primo volume della versione inglese Trascendental Magic, resta ovviamente collegato alla settima chiave dei Tarocchi, o Carro.

 

Ma, poiché Levi tende a compiacere più le correlazioni dei cabalisti cristiano-cattolici del XVII secolo, come Athanasius Kircher, invece delle più tradizionali associazioni ebraiche, identifica zain con il terzo dei nove ordini angelici, o Principati, piuttosto  che con la costellazione dei Gemelli (tradizionalmente associati agli Amanti della sesta lama). Lo collega anche al settimo sepiroth dell'Albero della Vita cabalistico, definito ad hoc: “Conquista” (vittoria, Nezach).

 

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Il Carro

 

Nelle numerose varianti dei Tarocchi di Marsiglia non esiste alcun esempio raffigurante una “spada fiammeggiante”. Molto spesso la cruda rappresentazione del Carro lo fa apparire un blocco cubico poggiato saldamente al suolo con le ruote sporgenti su entrambi i lati. L'Auriga tiene uno scettro sormontato da una sfera e da un triangolo, e le piastre della sua armatura sulle spalle hanno volti umani, visti di profilo, che suggeriscono immagini di mezzelune: una crescente a sinistra e una calante a destra, rispettivamente in corrispondenza della sfinge chiara e di quella scura.

 

Urim e Thummim

 

Levi ha equiparato questi simboli all'Urim e al Thummim (“rivelazione” e “verità”, forse pergamene poste all’interno dell’Efod, il pettorale decorato da dodici pietre), richiamando uno strumento, e una tecnica, di divinazione con le pietre, attaccate dinanzi al petto o indossate sulle spalle degli antichi sacerdoti ebrei, e impiegate per fornire, a una precisa domanda, o una risposta negativa oppure una positiva. Nel primo volume, le sfingi Levi le paragonò a quei pilastri, che si dice risiedessero nel Tempio di Salomone, uno scuro e l’altro luminoso (Boaz e Jachim), nei Tarocchi Waite-Smith ben rappresentati nella seconda lama dell’Alta Sacerdotessa.

 

I Tarocchi di Jacques Vieville

 

Le carte più datate raffigurano, attaccati al carro, dei cavalli, mentre Levi poneva delle sfingi presumibilmente per accentuare quel gusto egiziano dell'immagine, che supportava l’ipotesi di Court de Gebelin, del 1781, circa la provenienza delle immagini, e che trovava pure un riscontro storico in uno dei modelli più antichi di Tarocchi francesi, quelli di Jacques Vieville, stampati a Parigi intorno al 1650,  e uno dei rari mazzi conservatisi al completo.

 

“Un principe mandato al diavolo”

 

Sul Due di coppe si legge d’un “principe trasportato” (PRINS QVYSOIT TRANNAY), perché il carro è trainato da due strani “centauri”, e forse anche perché trascinato “AV DYABLE” (e spinto alla perdizione?). Questo Due di coppe ci fa intravedere una dimensione cosmica, con luna e stelle (LA LVNE LES ETOILLES) e la potenza del fuoco proveniente dal cielo con il fulmine (La FOVDRE); mentre l’Asso di denari contiene invece una sorta d’invocazione a una divinità creatrice (PERE SAINCT FAIT).

 

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Il Settenario dell’Auriga

 

Nelle più antiche carte francesi, la corona dell'Auriga ha tre gigli, adeguati a un principe d’oltralpe, ma Levi li interpreta piuttosto come pentagrammi; e gli angoli disegnati nel primo volume sul pettorale come un triangolo, sono gli angoli di tre quadrati, per rimarcare il simbolismo del tre e del quattro, che in effetti compongono il numero della lama, il sette.

 

Emblemi tantrici

 

Sulle carte francesi, la parte anteriore del veicolo a trazione animale mostra un piccolo scudo, su cui spesso, per consuetudine, vengono riportate le iniziali del produttore. In sostituzione, l’esoterista vi pone i simboli indiani del lingam (pietra verticale) e della yoni (pietra piatta), emblemi tantrici dell'interazione degli organi sessuali maschili e femminili, ed essenza creativa da sempre voluta incanalare nella pratica magica.

 

Ed ecco dov’è finito Zain!

 

Le volute decorative, presenti nella parte superiore dello scudo, su alcune carte marsigliesi, come disco solare egizio, vanno equiparate alla “pietra cubica”, nonché “materia prima” che gli alchimisti sperano di trasformare nel magico Elisir. Per Constant era magari un modo di rimescolare il simbolismo di varie tradizioni culturali?

 

Nondimeno, con l’aggiunta d’una piccola sfera sotto il “piatto” della yoni, il simbolo tantrico potrebbe altresì cominciare ad assomigliare a quella spada stilizzata che, grazie al disco solare infuocato, ripristina la lama fiammeggiante ventilata nel primo volume.

 

“Il Capro del Sabba”

 

Se, a proposito del Carro, Pamela Colman Smith si basò sul disegno di Eliphas Levi, apparso nella traduzione Transcendental Magic elaborata da Arthur Edward Waite sull’originale francese, e quest’ultimo invece sulle dichiarazioni dello stesso autore del testo, ma descriventi dettagli non compresi in modo evidente nella raffigurazione stampata, discrepanze simili sono rintracciabili nell’esaminare un’altra carta che la Smith ricopiò direttamente dal disegno di Levi intitolato “The Sabbatic Goat”, pubblicato in apertura del secondo volume di Trascendental Magic, mentre la descrizione della “Chiave” relativa restava relegata al quindicesimo capitolo, chiaramente in connessione con la briscola “diabolica”.

 

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Ptah o Tatenen?

 

Il disegno della Smith, - che oltre a occuparsi del folklore giamaicano aveva illustrato i versi di William Butler Yeats, anch’egli aderente all’Ordo Hermeticus Aurorae Aureae (Hermetic Order of the Golden Dawn), - è una sintesi di quello tradizionale di Marsiglia con elementi, quantunque, derivati dalla figura di Levi. Come la chiave delucidata dal teurgo, il Diavolo ha una testa di caprone con attinenti corna caprine, al posto di quelle ramificate del mazzo di Marsiglia, e in fronte un pentagramma invertito, quale distintivo del Capro di Mendes (più che l’egizio Ptah, l’Energia generata prima della creazione, Tatenen, dal "nemes" adornato con due piume e corna ritorte).

 

Alla stessa stregua del trionfo di Marsiglia, il Diavolo della Smith tiene una torcia rivolta in basso nella mano sinistra, mentre la destra è sollevata in alto, ali di pipistrello al posto di quelle di uccello di Levi, e tiene, incatenati al suo altare, due “servitori”, uno maschio, l’altra femmina, che  Waite riconduce alle icone di Adamo ed Eva della carta degli Amanti, chiamata, con un errore troppo grossolano per non essere una semplice svista, la “quinta carta”, quando in realtà si tratta della sesta.

 

Samekh o Ayin?

 

Nel sistema di Levi, la XV chiave è associata a Samekh (altrove pertinente alla Temperanza e al Sagittario), mentre per la Golden Dawn corrisponde alla lettera ayin e alla costellazione del Capricorno, del resto un'associazione appropriata per una figura dalla testa caprina.  

 

Ermafrodito?

 

La Smith abbandona l’immagine ermafrodita marsigliese, trascurando di sottolinearne i seni femminili come pure i genitali maschili, da Levi trasformati nel Caduceo di Mercurio, giusto per confermare la connessione del suo Diavolo con quel pianeta.

 

Problemi d’attribuzione

 

A proposito, Mathers individuava il simbolo naturale del Mercurio/Hermes, dio degli imbroglioni e della profonda conoscenza, nel Bagatto/ Pogod/ Giocoliere. Al Matto attribuiva l’Aria, alla Papessa la Luna, all’Imperatrice Venere, e all’Imperatore l’Ariete, in cui domina e si esalta il Sole.

 

Caduceo e/o simbolo fallico

 

Nella descrizione dell'immagine, in The Pictorial Key, Waite annota che: “Alla bocca dello Stomaco c'è un segno di Mercurio”; per cui, sembra almeno, che in realtà stesse descrivendo il caduceo della raffigurazione di Levi e non l’immagine definitiva posta sulla carta della Smith. Inoltre, non accenna al collegamento con il pianeta (Mercurio) invece che con il segno zodiacale (Capricorno).

 

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Il Quinto seme dei Tarocchi

 

I 22 capitoli della Trascendental Magic procedono secondo i 22 trionfi del Quinto seme dei Tarocchi, a cui Levi diede il nome di Trionfi, o Chiavi. I capitoli dal primo al  20° portano gli stessi numeri dell'ordine del mazzo di Marsiglia. Il capitolo 21 corrisponde al Matto, che Levi riteneva appartenesse a questa penultima posizione, lasciando l’ultima al Mondo. La sua sintesi associava, comunque, ciascuna delle 22 chiavi alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico, a iniziare dalla prima lettera, aleph, assegnata al Mago, procedendo verso shin, la penultima, assegnata al Matto, e poi l'ultima, tau, aggiudicata al Mondo.

 

Athanasius Kircher

 

Queste analogie dell’esoterista francese erano coerenti con gli scritti cristiani del filosofo tedesco Athanasius Kircher, il quale tendeva a dissociare la dottrina cabalistica dalla sua origine ebraica; e da qui il motivo delle differenze nelle associazioni del Sepher Yetzirah, successivamente utilizzato dalla Golden Dawn, la società britannica dedita allo studio dell’occultismo, di cui avevano fatto parte Arthur Edward Waite e Pamela Colman Smith.

 

Il Matto

 

La Golden Dawn collocava il Matto all'inizio della serie, assegnandogli la prima lettera ebraica, aleph; la seconda lettera, beth, andava pertanto al Mago e così via, procedendo in questo ordine, fino a raggiungere il Mondo, che coincideva con  l'unica “chiave” associata alla stessa lettera in entrambi i sistemi.

 

Forza e Giustizia

 

L'Alba Dorata ha anche cambiato le posizioni di Giustizia e Forza da VIII a XI, in modo tale che la Forza fosse correlata con la lettera teth, e il segno del Leone, e la Giustizia con lamed e Bilancia.Ma, come ebbero a rilevare sia Aleister Crowley, sia Samuel Liddell MacGregor Mathers (nell’appunto su “Le attribuzioni degli Arcani”, inserito da Jorg Sabellicus nel libro “I Tarocchi della Golden Dawn”, 2023) , il trionfo VIII (Forza), riferito al segno zodiacale del Leone, e l’XI (Giustizia) alla Bilancia, sarebbero stati sottoposti a tali modifiche, soprattutto in quanto la spada della Giustizia dovrebbe corrispondere alla “Falce del Leone", mentre la “Signora della Bilancia”, Venere, terrebbe a bada il “Fuoco di Vulcano”, ovvero Saturno esaltato in quel settimo segno zodiacale; anche se, poi, la corrispondenza più vicina alle origini egizie dovrebbe semmai rivelare la belligerante Sekhmet (evoluzione di Mut, dopo l’assimilazione di Uadjet e Bast) e la Maat tradizionalmente addetta alla psicostasia.

 

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La Kabbalah

 

Nella sua Histoire de la Magie (1860), Éliphas Lévi confermava: «La scienza geroglifica assoluta ha come base un alfabeto in cui tutti gli dei erano lettere, tutte le lettere idee, tutte le idee numeri e tutti i numeri segni perfetti. Questo alfabeto geroglifico di cui Mosé fece il gran segreto della sua Kabbalah, e che riprese agli Egizi (secondo il Sepher Yetzirah, esso risaliva ad Abramo), è il famoso Libro di Thoth, che Court de Gébelin ipotizzò conservato fino ai nostri giorni sotto la forma del peculiare mazzo di carte chiamate Tarocchi… I dieci numeri e le ventidue lettere sono quelli che la Kabbalah chiama i trentadue sentieri della conoscenza, e la loro descrizione filosofica è l’argomento di quella primordiale e venerata opera nota come Sepher Yetzirah, che si trova ancora nella raccolta di Pistorius e altri. L’Alfabeto di Thoth è l’originale dei nostri Tarocchi, in forma alterata. I Tarocchi che noi possediamo sono d’origine ebraica, e i tipi delle figure non sono stati ricondotti a tempi antecedenti il regno di re Carlo VI».

 

I Tarocchi di Carlo VI

 

Il riferimento, molto verosimilmente, andava allo smaltatore Jacquemin Gringonneur, che per distrarre dalla malattia mentale quel sovrano capetingio, successivamente soprannominato «le Fou», avrebbe dipinto “trois jeux de cartes à or & à diverses couleurs”, anche se, poi, i cosiddetti “tarocchi di Carlo VI” sarebbero stati accertati di fattura fiorentina e di oltre quarant’anni posteriori, ossia databili non prima del 1460.

 

William Hughes Willshire (1816-1899)

 

Nell’altro suo saggio su “Significato e uso divinatorio dei Tarocchi” (“I Tarocchi della Golden Dawn”, 2023), Mathers riporta una sintesi riepilogativa, in tema di origine, o provenienza, delle Carte, formulata da William Hughes Willshire (1816-1899), in “A descriptive catalogue of playing and other cards in the British Museum” (accompanied by a concise general history of the subject and remarks on cards of divination and of a politico-historical character, by British Museum, Printed by order of the Trustees, London 1876).

 

Venezia, Firenze

 

«Le carte più antiche pervenute fino a noi appartengono alla tipologia dei Tarocchi. Tali sono le quattro carte del Museo Correr a Venezia, i diciassette pezzi del Gabinetto di Parigi (spesso erroneamente chiamate Gringonneur, o Carte di Carlo VI del 1392), cinque Tarocchi veneziani del XV secolo, che secondo l’opinione di alcuni non sono anteriori al 1425, e la serie di carte appartenenti a un insieme chiamato Minchiate, in possesso della contessa Aurelia Visconti Gonzaga di Milano all’epoca del Cicognara, che ne ha documentato l’esistenza. La datazione di quest'ultimo potrebbe essere dedotta dall’emblema dell'Amore avente su di sé caricati gli stemmi combinati del Principe Visconti e di Beatrice Tenda, che sposò Filippo Maria Visconti nel 1413…».

 

Le Carte dertonensi

 

Un lustro dopo, la vedova di Facino Cane, impalmata per il cospicuo patrimonio lasciatole in eredità, fu costretta a confessare, sotto tortura, un inesistente adulterio, e pertanto decapitata. Queste carte potrebbero essere state ordinate, quindi, a partire da quell’anno in cui furono celebrati gli sponsali ed entro (non oltre) la data della sventurata condanna a morte (1418); e potrebbero essere proprio quelle acquistate per mille e cinquecento ducati d’oro e miniate da Marziano da Tortona (detto “dertonensis” da Pier Candido Decembrio), il quale, alla corte viscontea, prima di svolgere funzioni di segretario della cancelleria, come il Decembrio, avrebbe assolto, con Giovanni Tiene, anche quelle di precettore del principe giovinetto.

 

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Pagad/ Bagat

 

Per quanto riguarda l’etimologia del termine Tarot, Samuel Liddell MacGregor Mathers (nel saggio su “Significato e uso divinatorio dei Tarocchi”, ne “I Tarocchi della Golden Dawn”, 2023)  si rifà alla convinzione di Court de Gébelin d’una preservazione di termini orientali: oltre che l’egizio Tar, sentiero, di Mat, impazzito, da cui Matto/a (equivalente italiano dell’inglese jolly, allegro, e joker,  buffone?) e Fou/Fool, e poi Pagad, manipolatore della fortuna (e della Fatalità, per cui potrebbe essere considerata una replica della lama XV?), da cui Bagatto/ Bateleur.

 

Ator/ Rota/ Târu/ Tarisk

 

Quasi fosse un quadrato magico alla “Sator-Arepo-Tenet …”, compone le metatesi delle lettere costitutive di “Taro”: Troa (ebraico: porta), Tora (ancora ebraico: legge, Tōrāh), Rota (latino: ruota), Orat (sempre latino, parla o prega), Ator (egiziano: la dea Athor/Afrodite), Taor (di nuovo egizio: la dea Täur o Taurt, riconducibile ancora ad Hathor). Come nel caso di Ashtoreth, inoltre, essendo la desinenza in “t” tipizzante il genere femminile, propone una derivazione dal geroglifico Târu, consultare, dell’atto stesso di chiedere un responso, in analogia all’arcaica espressione dell’antica lingua iranica nord-orientale, o avestica, avente il medesimo significato, ma con “sk” finale: Tarisk.

 

Una Tetrade

 

I Tarocchi, insomma, possono vantare una nascita di molto anteriore alla loro, relativamente recente, introduzione in Europa, anche perché composti dall’insieme alfanumerico di ventidue simboli mistici di tipo geroglifico uniti a delle scale decimali alternate in una Tetrade, o meglio Tetramorfo, quale la quadruplice visione (uomo, leone, vitello e aquila) di Ezechiele (10, 14) o dell’Apocalisse (4, 7), alla stregua dei quattro animali, cherubini, arcangeli, lettere del Tetragrammaton (e theonymum Yahweh) e dei quattro semi delle carte di Corte.  

 

Bibliografia essenziale

 

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