Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Un magistrato ‘ermetista’

‘I Tarocchi’ di Joseph Maxwell

 

di Giuseppe M. S. Ierace

 

A dispetto del proprio cognome anglofono, Joseph Maxwell (1858-1938) nacque nel capoluogo del dipartimento d'oltre mare francese della Martinica, Fort-de-France, divenendo medico e magistrato, fino ad arrivare a rivestire la carica di Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bordeaux e, dal 1920, quella di sostituto Procuratore generale presso il Tribunale di Parigi. Da giurista, scrisse testi quali “Le crime et la société” (1909), “Manuel du juré: éléments de science criminelle et pénale à l'usage de la Cour d'assises” (1913), o “Le concept social du crime. Son évolution” (1914).

 

Il suo interesse per l’esoterismo, che nutriva parallelamente ad altri più genericamente intellettuali, traspariva già nel discorso pronunciato all’udienza solenne di ripresa delle attività della Corte d’appello, presso la quale lavorava (“Un magistrat hermétiste: Jean d'Espagnet, président au Parlement de Bordeaux, discours prononcé à l'audience solennelle de rentrée, le 16 octobre 1896”), incentrato sulla figura di Jean d'Espagnet (1564-1637), giudice nei processi per stregoneria, ma contemporaneamente alchimista, autore de “Le miroir des alchimistes” (1609), “Arcanum Hermeticae philosophiae opus” (L'œuvre secret de la philosophie d'Hermès, scritta nel 1616, ma data alle stampe sette anni dopo) e di “Enchiridion Physicae restitutae” (anch’essa del 1623).

 

Il nostro magistrato s’occupò, quindi, nel contempo, di fenomeni psichici e medianici, nonché di astrologia, tanto che a lui si attribuirebbe la scoperta del cosiddetto “punto gamma”, dall’icona simile alla lettera greca minuscola γ, che contraddistingue la costellazione dell'Ariete (alla stessa stregua di come l’omega maiuscolo contrassegna sullo zodiaco la Bilancia), per mezzo del quale è possibile individuare l'ora esatta nel tema di natività.

 

Quando, poi, si rese conto, a seguito d’un primitivo timido approccio teosofico all’occultismo, che molte manifestazioni dovevano essere investigate mediante il ricorso all’indagine psicopatologica, intraprese, umilmente e coraggiosamente, in età già matura, il corso di laurea in medicina. Nell’ambito degli studi metapsichici, ci ha lasciato un testo su “Les phénomènes psychiques: recherches, observations, methods” (1903). Dopo aver fatto esperienze di telecinesi con l’amico  Meurice M., in proposito annotò: "Sono certo che siamo in presenza d’una forza sconosciuta, le sue manifestazioni non sembrano obbedire alle stesse leggi di quelle che governano le altre forze a noi più familiari, ma non ho dubbi che obbediscono a delle leggi".

 

Ammetteva pure che una tale forza potesse essere intelligente, chiedendosi semmai se quest'intelligenza non provenisse dagli stessi sperimentatori. In base alla sua teoria, a produrre i risultati intellettuali sarebbe stata una sorta di “coscienza collettiva”. “Les phénomènes psychiques” costituì certamente un prezioso contributo alla letteratura parapsicologica e metapsichica sua contemporanea, rappresentando il risultato d’una decina d’anni di fervida ricerca sul campo. Aveva, infatti, frequentato Mme. Agullana di Bordeaux, due giovani medium di Agen e, nel 1895, aveva pure partecipato agli esperimenti condotti con Eusapia Palladino (1854-1918), a I'Agnelas, nella residenza alpina del Colonnello Eugene Auguste A. A. Rochas, Presidente della Scuola Politecnica, insieme con l’editore degli “Annales des Sciences Psychiques”, Dr. Xavier Dariex, la Prof. ssa Sabatier, il conte de Gramont e il barone  de Watteville. Quegli esperimenti attestarono che gli eventi paranormali prodotti dalla sensitiva pugliese potevano considerarsi autentici. E, quale risultato di tali osservazioni, il Col. de Rochas avrebbe sviluppato la teoria dell’Esteriorizzazione della motricità.

 

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Successivamente, Joseph Maxwell pubblicò un trattato su “La Divination” (1927), uno su “La Magie” (1928) e “Le Tarot” (1933). In quest’ultima opera coglie succintamente l'importanza degli Arcani, e dopo un lavoro meditato a lungo, per quasi un terzo della sua vita. Le 78 lame di quello che viene comunemente considerato un semplice gioco di carte, oppure uno stimolante strumento per predire il futuro, vengono invece inquadrate come pagine sintetiche d’un testo di saggezza, per molti versi, paragonabile all’equivalente orientale Libro dei Mutamenti in 64 esagrammi, il cinese I Ching.

 

Il suo impegno su più fronti, tenendo conto della preparazione scientifica di medico, dell’esercizio della magistratura, della passione storica e della curiosità culturale, gli avrebbe risparmiato l’allettante tentazione di sprofondare nella melmosa palude alimentata da un becero occultismo o da una vivace fantasticheria teosofica. Prende in considerazione senza alcun dubbio la valenza cartomantica d’una procedura divinatoria che però può avvalersi d’altri altrettanto suggestivi substrati, e s’attarda ad analizzare scrupolosamente e con metodo numerologico, il ricco simbolismo che vi scorge nei più minuti particolari. Applicando una rara finezza psicologica indagatrice, a queste carte si dedica con acribia e rigore meticolosamente scientifico, riconoscendole come l'illustrazione grafica d’un pensiero profondo, una specie di "cosmogonia antropo-centrica", e concretizzazione dell’astratta opera filosofico-ermetica. Per proporle, infine, quale breviario di spiritualità, viatico d’ascetismo, guida alle regole di condotta d’un’integerrima disciplina offerta in quanto utile e proficuo mezzo d’approccio alla perfettibilità dell'individuo.

 

Tenta pure una sintesi di vari sistemi simbolici, facendo attenzione a non alterarne troppo i principi fondamentali e senza neppure provocare eccessiva confusione tra loro. Dispone così le lame nelle case zodiacali, oppure in corrispondenza con i pianeti in una sorta di diagramma taro-astrologico. Essendo ventidue gli Arcani Maggiori, dodici i segni nello Zodiaco, otto i Pianeti e due i Luminari, Sole e Luna, a ciascuno degli Onori si ricollega un Segno, un Pianeta o un Luminare. Sole, Luna, Venere, Giove, Mercurio li attribuisce ai primi cinque Trionfi (Bagatto, Papessa, Imperatrice, Papa), Marte al settimo (Carro), Saturno al XIII (Morte), la testa del dragone (nodo lunare ascendente) al Diavolo (XV). Ariete all’Impiccato (XII), Toro alle Stelle (XVII), Gemelli al Sole (XIX), Cancro alla Luna (XVIII), Leone alla Forza (XI), Vergine al Mondo (XXI), Bilancia alla Giustizia (VIII), Scorpione  al Giudizio (XX), Sagittario agli Amanti (VI), Capricorno alla Ruota della Fortuna (X), Acquario alla Temperanza (XIV), Pesci all’Eremita (IX). Cosicché resterebbero esclusi sia la “Casa di Dio” (o Torre, XVI) sia il “Matto”, che, da altri autori, vengono ricondotti rispettivamente a Scorpione o Urano (ma anche a Saturno, o Marte) e ad Aquario, o Pesci (ma pure ad Ariete, Mercurio, o ancora Urano).

 

Alcune di queste lame, per Maxwell, sarebbero fin troppo esplicitamente riconducibili a determinate simbologie zodiacali. Nella Sesta Carta, per esempio, il Sagittario sarebbe raffigurato dal putto che scocca la freccia stando dentro una stella. – Eppure, altri interpretano diversamente, associando agli Amanti altri segni, come Toro, Gemelli, o Vergine. Iconograficamente, la Giustizia s’accompagna da sempre a spada e “Bilancia”, mentre altri pensano più allo Scorpione. Altrettanto varrebbe per il portatore d’acqua della XIV lama in rapporto all’undicesima casa dello zodiaco (altrove, la Temperanza si riconnette alla Vergine), ben più  della donna che pure versa liquido da due vasi, inginocchiata sotto quell’occhio di bue di Aldebaran, al centro delle sette Stelle delle Pleiadi, legate al segno del Toro  (in netto dissenso con chi riporta le Stelle all’Acquario, oppure al pianeta Venere). Il granchio gigante, che s’annida nella pozza d’acqua attorno alla quale due cani ululano alla Luna, richiama il Cancro, - che, in alternativa, s’affiancherebbe alla Papessa. Ma la XIX lama, dove il Sole risplende su due figure ignude, potrebbe essere interpretata doppiamente sia come luminare, sia come costellazione dei Gemelli (contesi dall’Imperatrice). Maxwell propende per questa seconda corrispondenza, rimandando il Sole al Bagatto, - che altrove si rinvia all’Ariete.

 

Non avendo prossimità con l’Iside egizia, bensì con quella lunare siriana, la Papessa (II) non andrebbe sostituita dalla figura di Giunone, com’è avvenuto nei cosiddetti  Tarocchi di Besançon, o di Lequart, firmati dal cartaio parigino Arnoult (1748). Un’analisi di varie carte (in specie le prime nove, l’undecima, la XII, XIV, XVI, XX e XXII, o zero) esclude plausibili contestualizzazioni egizie. Abbigliamento e costumi dei personaggi, sia maschili che femminili, localizzano e datano diversamente; l’aquila imperiale, per esempio, riportata sull’Imperatrice (III) e sull’Imperatore (IV) appare fin troppo germanica. Anche la nomenclatura, piuttosto superficiale, dei titoli è da intendere abbastanza illusoria.

 

Maxwell suggerisce di non cercare la chiave della comprensione nell’equivalente serratura, semmai in un ben celato nascondiglio. Questo perché i Tarocchi possiedono significati diversi che si rifanno contemporaneamente a forme diverse di conoscenza. Andrebbero letti pertanto su almeno tre livelli, il cui intermedio, astrale, si divide a sua volta con una sua parte più vicina alla materia e l’altra alla mente “superiore”. Questa duplice dimensione astrale è quella delle forme che si presentano quando lo spirito si confronta con il piano inferiore.

 

Il più evidente simbolismo astrologico viene completato da numeri e colori. Un realistico pontefice cattolico indosserebbe sobriamente una veste candida, una tiara bianca, reggendo un crocefisso, al contrario la figura del Quinto Onore è coloratissima, ricoperta d’azzurro, con mantello rosso, tiara gialla e in mano tiene una croce di Lorena a tre braccia, dal richiamo decisamente orientale. Il granchio del XVIII Trionfo indica il parallelo più settentrionale in cui il Sole culmini allo zenit al solstizio estivo, un Tropico che è anche Casa zodiacale della Luna, mentre la Luna vera e propria andrebbe vista nella Papessa, l’Iside siriana e non egizia. In una terminologia esclusivamente “occulta”, quindi, il XVIII Onore si chiamerebbe proprio Cancro.

 

Per quanto riguarda il numero XII, invece che al simbolismo tradizionale della forca e alla cifra capovolta del quattro, Maxwell lo ricompone con il culto frigio di Attis, quale momento equinoziale a metà strada tra il solstizio d’estate, che lo vedrebbe completamente libero, e quello invernale, in cui la vita sulla terra si troverebbe in uno stato di sospensione, per cui questa divinità solare avrebbe simbolicamente le mani strettamente legate e si troverebbe appesa per entrambi i piedi, mentre noi, sul Trionfo dei Tarocchi, la osserviamo in bilico tra l’una e l’altra opzione. Sovviene il tema dei fiancheggiatori degli altari mitriaci, Cautes e Cautopates, con le gambe incrociate in maniera simmetrica, che fungono da punti d’intersecazione dell'equatore celeste con lo zodiaco. Questa interpretazione equinoziale viene rafforzata anche da tutti gli altri animali simbolici della scena della Tauroctonia, che, da sinistra a destra, starebbero a rappresentate tutte le costellazioni dell'equatore celeste comprese fra l'equinozio di primavera e quello d'autunno, all’epoca dell'Era del Toro. Sulla dodicesima carta, i mesi dell’anno si riscontrano nei dodici nodi dei tronchi verticali della forca. Escludendo l’altro segno equinoziale, già associato alla Giustizia, a questo non gli rimane che attribuirlo all’Ariete. La progressione numerica delle corrispondenze taro-astrologiche non seguirebbe quindi una sequenza prevedibile e, né tra i segni solstiziali, né tantomeno tra i segni equinoziali (VIII e XII), ritroviamo lo spartiacque di sei carte che ci aspetteremmo, la Ruota (il X, altrove dato ai Pesci), rifacendosi al Capricorno (attribuito, in alternativa, all’Eremita), si trova comunque a metà strada, tra VIII e XII.

 

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Il “magistrato ermetista” critica gli occultisti che hanno collegato i ventidue arcani maggiori alle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico, in quanto sostiene come nella numerologia mistica il prodotto di due e undici, simboli binari, passivi, possieda significato negativo, ricettivo e limitante, seppure sempre basilare nella cosmologia. Simbolo della “non essenza”, il ventidue indicherebbe una condizione relativa, non assoluta. Il Matto (22 o zero), infatti, rappresenterebbe quell’outsider, emblematico dell’universo non manifesto, il Pralaya indù, che si esclude dall’elenco poiché privo di numero distintivo, e che quindi non rientra nel triplo settenario scaturito dalla moltiplicazione del numero Sette per il Ternario.

 

Wirth, Picard, Guaita, e i loro predecessori, avrebbero, inoltre, omesso l’importanza attribuita da parte degli orfici ai nodi lunari, come quello ascendente, o Testa del dragone, che Maxwell consegna al Trionfo del Diavolo (XV). Si discosta ancora da A. E. Thierens ed Encausse (Papus), i quali attribuiscono i Bastoni degli Arcani minori alla serie dei Fiori delle carte da gioco ordinarie, a semi francesi, i quali per il Nostro appartengono alla Terra e alla vita vegetativa, e pertanto ai Quadri.

 

Il curatore, Ivor Powell, dell’edizione inglese (C. W. Daniel Company Limited, Saffron Walden 1975) del testo di Joseph Maxwell (“I Tarocchi”, adesso pubblicato, con la traduzione di Giancarlo Tarozzi, da Aseq, Roma 2017), ci tiene a puntualizzare il suo disaccordo, nell’insistere a ritenere appartenenti all’elemento Terra la serie di Spade e il seme di Picche e considerare carte di Fuoco i Pentacoli, richiamati dai Quadri, e di Aria Bastoni e Fiori, seguendo in questo pure Arthur Edward Waite (1857-1942). Ciononostante, riconosce al magistrato di Bordeaux un insegnamento molto difficile da spiegare in poche righe. La concezione di Maya, o illusione, non riguarda qualcosa di immaginato dalla mente, privo di realtà e d’indipendenza. La radice latina di illusione ci riporta al gioco, ludus, dimodoché anche Maya ripercorrerebbe le proiezioni dello sviluppo dell’universo in un processo che lo accomuna alla psicobiologia evolutiva della coscienza individuale. I Trionfi farebbero, in tal modo, da mero tramite tra l’esserci (“dasein”) e l’eterno invisibile.

 

La convinzione di Maxwell che i Tarocchi siano il prodotto dell’Ermetismo del secondo secolo dev’essere trattata con rispetto ma non deve assolutamente essere presa come argomento di settarismo; - scrive, per sua stessa ammissione, in stato di trance, Ivor Powell, nell’Introduzione a “I Tarocchi” di Joseph Maxwell (traduzione di Giancarlo Tarozzi, Aseq, Roma 2017) – la validità di qualsiasi insegnamento può essere verificata dalla facilità con cui esso può avvicendarsi culturalmente o storicamente e in qualsiasi abito conservare sempre l’aspetto inconfondibile della realtà”.

 

Le manifestazioni esteriori della religiosità popolare sono sempre espressione di conoscenze occulte, per cui la potenza dell’Unico, significato tradizionalmente dal Sole, la si vede diluire nel molteplice. Da ciò, proviene allora la sintesi d’una sequenza coerente di simbolismi, dapprima, negli Arcani maggiori, in una rappresentazione d’una “cosmogonia”, la quale successivamente si va a estrinsecare nella più bassa “umanità” degli Arcani minori.

 

I Bastoni riguardano il potenziale materiale, la dimensione incastonata nei primi quattro numeri della serie (poi, da cinque a sette: l’astrale inferiore, da otto a dieci: il superiore, mentre le figure di corte assommano il mondo dello spirito). Allora, Maxwell chiama Pomona la Regina di Bastoni, nel senso di madre Terra, nel suo atteggiamento gravido di frutti, il cui quaternario di realizzazione viene fornito dalla riduzione teosofica (4)  del 13 (1+3).

 

Le Coppe incarnano l’enigma della procreazione, per cui la Regina rifletterebbe questo significato in funzione del XIII arcano (Morte), preparando una vittoria sul destino, mediante proprio un tale cambiamento. Il due di Coppe, al dritto, si ricollega agli Arcani maggiori XI (Forza) e XV (Diavolo); al rovescio al XVI (Torre). Nel  Tre di Coppe s’evidenzia la presenza dei due melograni spaccati, sacri a Kore, in riferimento al XII arcano (l’Impiccato); il Sei di Coppe si riallaccia alla Ruota della Fortuna (X), poiché rappresenta la sommatoria karmica di “passato”, qualora la carta sia diritta, e di “futuro”, se invece capovolta. L’Otto di Coppe, per i cartomanti, potrebbe essere “una bella donna giovane”.

 

Il senso del Cinque di Denari si situa su di un livello superiore a quello del Cinque di Coppe, anche se le tentazioni complementari sarebbero più sottili e ostiche. Il Fante di Denari, familiarmente “apprendista stregone”, sarebbe araldo di novità.

 

L’Asso dell’elemento Fuoco affonda nella corona la sua glorificazione quinaria in quelle zone della sensibilità legate all’astrale, su cui si impongono le influenze esterne. L’importanza del binario viene costantemente ripetuta nell’elsa dalla guardia a forma di esse orizzontale. Il contrario del seme di Spade è costituito dalla bilancia della lama VIII (Giustizia). Tutti gli arcani, infatti, maggiori e minori, sono tra loro interconnessi, e non solo il Sette e l’Otto… Perciò il significato del Dieci rimanda agli Onori X (Ruota della Fortuna) e di nuovo VIII, poiché bisogna accettare le sentenze dell’ellenica Ananke (necessità) che, nella sua lungimiranza, ha obiettivi più grandi di quanto saremmo in grado di comprendere.

 

Il Re ripropone l’enigma comune a tutto il seme di Spade. Giovane, come il sovrano di Bastoni, mentre gli altri due sono più anziani, indossa come l’equivalente dell’elemento Terra, l’armatura, e occupa un trono in equilibrio, in parte sulla materia e in parte sull’intelligenza, non riponendo la sua glorificazione su di uno sforzo continuativo. Il più vicino alla materia è, difatti, il Re di Bastoni, il Re di Coppe è prossimo alla sensibilità e alla bontà, quello di Denari alla conoscenza e all’intelligenza.

 

Superati certi numeri, nella progressione degli Arcani minori, ci si trova dinanzi dei gradi iniziatici; la conoscenza cessa d’essere esoterica per sprofondare nelle forze astrali, avvantaggiandosi del loro controllo occulto. Il vero numero Nove, giocando lo stesso ruolo dei semitoni nella scala musicale, proviene da un Otto più Uno e annuncia la venuta d’una nuova umanità, la cui potenza s’esprime nel Dieci, attraverso il quale, per riduzione teosofica, si ritorna a una nuova Unità. Il Dieci in sé andrebbe considerato quindi positivo, ma dispari.

La Spada diventa quella volontà capace di dirigere l’intelligenza, con l’energia che ubbidisce direttamente ai comandi dello spirito. Il Re di Denari, che è “mago”, ne fa uso a fin di bene. L’Otto di Spade ci parla invece di magia nera, mentre il Dieci capovolto azzarda delle evocazioni di rischiose illusioni (Maya), rischiando di perdere a un gioco (ludus) più grande di lui.  

 

Bibliografia essenziale

 

Ierace G. M. S. Prefazione a I Tarocchi Divinatori di Papus , Basaia, Roma 1988

Ierace G. M. S. L’Appeso e la cifra del 4, Elixir, XII, 21-26, 2015

Ierace G. M. S. Il mazzo di Waite. Le influenze della tradizione celtica sul magic revival, http://www.letarot.it/page.aspx?id=482

Kozminsky I. I Numeri magici. Simbolismo, significato e usi quotidiani, Aseq, Roma 2015

Maxwell J. Le Tarot: Le Symbole, Les Arcanes, La Divination, Felix Alcan, Paris 1933

Maxwell J. The Tarot, (trans. Ivor Powell), C. W. Daniel Company Limited, Saffron Walden 1975

Maxwell J. I Tarocchi, (trad. di Giancarlo Tarozzi), Aseq, Roma 2017