Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Sulle origini dei Tarocchi popolari

Omaggio a Michael Dummett

 

di Michael Dummett


Per onorare gli studi sui tarocchi e la memoria di Michael Dummett, professore di Logica presso la Oxford University e in vita il più rappresentativo esponente della filosofia anglosassone, presentiamo questo articolo tratto dal catalogo della mostra Le Carte di Corte. I Tarocchi. Gioco e Magia alla Corte degli Estensi, allestita presso il Castello Estense di Ferrara dal settembre 1987 al gennaio 1988, su progetto e selezione documentaria di Andrea Vitali.   

Tutti i più antichi Tarocchi pervenutici sono esemplari dipinti a mano per l'aristocrazia. Dobbiamo riconoscere due ragioni per questo: carte di quel tipo sono conservate con maggior cura delle carte popolari a po­co prezzo stampate da matrici in legno e, quando veniva commissiona­to un mazzo dipinto a mano, un mazzo di Tarocchi, con trentotto figu­re, doveva naturalmente attirare più di un mazzo regolare che ne pre­vede solo dodici. Tuttavia, anche dopo aver tenuto in debito conto que­ste ragioni, è difficile non giungere alla conclusione che il gioco era estremamente diffuso in determinati settori dell'aristocrazia quattro­centesca e che deve essere stato inventato in quell'ambiente. Questa conclusione è confermata da un'osservazione nella Risposta  (1)di Vincen­zo Imperiali all'Invettiva di F. Alberti Lollio.

 

Ma 'l gioco del Tarocco è da Signori, Principi, Re, Baroni, et  Cavalieri

 

Dove fu inventato, dunque, il gioco dei Tarocchi? Tutti gli esempla­ri quattrocenteschi dipinti a mano possono essere assegnati, con sicu­rezza o forte probabilità, alla corte di Milano o a quella di Ferrara. La prima menzione certa dei Tarocchi, risalente al 1442,compare in due diversi libri contabili della corte estense, che registrano ordini per carte dipinte a mano (2) [Solo nel 2012 è stato scoperto un documento precedente di due anni. Si veda al saggio Bologna e l'invenzione dei Trionfi. N.d.R]. Il primo riferimento milanese di cui si ha notizia non è di molto posteriore: esso compare in una lettera di Francesco Sforza da­tata 1450 (3). Ancora da Milano provengono i antichi Tarocchi perve­nutici, il cosiddetto  “mazzo Visconti di Modrone”  della collezione Ca­ry all'Universita di Yale, e il “mazzo Brambilla” della Galleria Brera, entrambi probabilmente fatti per Filippo Maria Visconti (morto nel 1447) e il primo forse databile addirittura al 1441. Sembra pertanto im­probabile che ci siano altri contendenti per il titolo di città natale del gioco. Ma se Milano fu la fonte principale del gioco nella forma pratica­ta fuori di Italia, vi sono altre tradizioni contemporanee da tenere pre­senti.

Numerose prove documentarie attestano che, alla fine del XV secolo, il gioco era già noto a Bergamo, Salo, Reggio Emilia, Bologna e Urbino e, qualche decennio dopo, a Venezia, Mantova, Pavia, Firenze e Pistoia. Fra queste città, solo per Bologna abbiamo riferimenti ante­riori alla fine del secolo: il primo certo è la documentazione di un furto di Tarocchi nel 1459 (4).Certamente, il fatto che ci siano tracce molto più antiche del gioco a Bologna che in altre regioni collegate alla stessa tra­dizione iconografica, ci induce a credere che in tali zone si sia diffuso da Bologna. Importanti prove indirette indicano anche che esso passò da Bologna al Piemonte-Savoia, probabilmente nel sec. XVI. Una man­canza di riferimenti letterari fiorentini al gioco del Quattrocento lascia supporre che esso fu importato a Firenze da Bologna solo alla fine del secolo.

Probabilmente da lì si diffuse a Lucca e Roma e da Roma alla Sicilia. Con l'invenzione dei Germini (Minchiate), fra il 1526 e il 1542 (5), i Fiorentini iniziarono un nuovo ramo di questa tradizione. Somiglianze con il mazzo delle Minchiate (in particolare i centauri al posto dei Ca­valli) indicano, a mio parere, che i fogli Rosenwald non sono ferraresi ma esempi della più antica forma di Tarocchi fiorentini.

 

Ma la chiave per l'intera storia primitiva dei Tarocchi va ricercata, a nostro avviso, nel fenomeno dei diversi ordini di Trionfi; una volta as­sociati tra loro, possiamo servircene per assegnare carte antiche ai loro luoghi d'origine. Cosi, ad esempio, il mazzo classicheggiante della col­lezione Leber presenta l'ordine di Trionfi ferrarese e quindi deve provenire da Ferrara o da Venezia; ma un'origine ferrarese è in­trinsecamente più probabile di una veneziana semplicemente perché la popolarità del gioco è più ampiamente documentata a Ferrara. Lo stes­so vale per le belle carte cinquecentesche del Museo delle Arti e Tradi­zioni Popolari di Roma.

 

Nei giochi italiani, il tipo d'ordine più caratteristico è quello in cui l'Angelo è il trionfo più alto, seguito dal Mondo, mentre le tre Virtù sono consecutive e in posizione piuttosto bassa, di solito subito sopra all'Amore. Questo ordine compare nel gioco bolognese, nel mazzo dei Germini, o Minchiate fiorentine – con venti carte in più in­serite sotto la Stella – in mazzi un tempo usati a Lucca e Ro­ma e essenzialmente nel Tarocco siciliano. Uno dei fogli non tagliati della collezione Rosenwald ce ne fornisce un antico esempio.

 

Un ordine decisamente diverso è noto solo attraverso una fonte let­teraria, un poema di  “Tarocchi appropriati” relativo alle dame della corte di Pavia. In esso, il Mondo è il Trionfo più alto, seguito dall'Angelo; la Temperanza compare, stranamente, fra la Morte e il Diavolo, mentre le altre due Virtù occupano posizioni più basse ma non adiacenti. Questi tratti sono caratteristici anche dell'ordine dei Trionfi nel cosiddetto “Tarocco di Marsiglia” e, di fatto, ovunque fuori d'Italia, anche se quest'ordine differisce leggermente da quello del poema di Pavia. I disegni delle carte di seme nel “Tarocco di Marsi­glia” e quello del Mondo sono molto simili alle carte milanesi pre-set­tecentesche rinvenute nel Castello Sforzesco; è pertanto probabile che il gioco sia stato introdotto in Francia e Svizzera da Milano, durante le invasioni e l'occupazione francese del 1500-1525. Dalla somiglianza dei suoi disegni con il “Tarocco di Marsiglia” possiamo dedurre che il `Fo­glio Cary' (figura 1) è un antico esemplare dei Tarocchi popolari milane­si. L'ordine del Tarocco di Marsiglia è oggi rappresentato in Italia dal Tarocco piemontese e, precedentemente, dal Tarocco lom­bardo, entrambi derivati dalla Francia dopo il temporaneo collasso delle industrie di carte da gioco locali alla fine del sec. XVII.

L’importanza di questi ordini diversi risiede nel fatto che essi devono farsi risalire all'invenzione del gioco. Non era consuetudine originaria numerare i Trionfi: gli indici numerici non compaiono su alcuna delle carte dipinte a mano originali e, a Bologna, non entrarono nell'uso fino alla seconda metà del sec. XVIII. Prima dell'introduzione dei numerali, pertanto, i giocatori dovevano identificare i Trionfi dal soggetto e ri­cordarne la gerarchia di valori. È evidente che sarebbe stato impossibile giocare senza un ordine fisso e noto a tutti i giocatori. Dal momento che (fino ai tempi moderni) si è potuto giocare a carte solo a livello lo­cale, un ordine costante era richiesto solo all'interno di una data area: una volta introdotto il gioco in una particolare città o distretto, e adotta­to un ordine specifico per i Trionfi, tale ordine doveva poi rimanere identico, almeno fino all'introduzione degli indici numerali; ma anche dopo la loro introduzione sarebbero stati possibili solo cambiamenti se­condari e sicuramente non relativi ai Trionfi più alti.


Ne deriva che i due ordini di Trionfi radicalmente diversi descritti sopra rappresentano due tradizioni distinte radicate allo stadio più antico della storia del gioco; deviazioni secondarie nell'ordine dei Trionfi possono riflettere variazioni locali all'interno di ciascuna di queste tra­dizioni o persino, dopo l' adozione degli indici numerici, un cambia­mento nel tempo.


Uno sguardo alle carte del Metropolitan Museum ci rivelerà che i Trionfi non sono numerati in base all'ordine milanese o bologne­se, ma in base a un terzo tipo di ordine, il che implica l'esistenza di una terza tradizione. Questo terzo ordine dei Trionfi è quello di gran lunga meglio documentato nelle fonti letterarie: ne esistono sei, con pochissi­me variazioni dall'una all'altra (6). In esso, il Mondo è di nuovo il Trionfo più alto, seguito, tuttavia, dalla Giustizia, cosicché l'Angelo è solo al ter­zo posto; la Temperanza è sesta, subito sopra al Papa e la Fortezza è no­na.


Le figure del  ‘mazzo Dick' (figura 2) sono molto simili a un particolare tipo di antiche carte comuni italiane: il problema è stabilire a quale città esse siano associate. Carte di questo tipo ci sono pervenute sotto forma di al­cune carte singole e di un notevole numero di fogli non tagliati, in stato più o meno frammentario, molti dei quali sono duplicati integrali o parziali di altri, nella collezione Cary, nella Biblioteca Beinecke presso l'Università di Yale, al Museo Szepmuveszeti di Budapest e al Museo Fournier di Vitoria. Possiamo distinguere quattro mazzi diversi a cui essi erano destinati. I tratti che ci permettono di classificarli come ap­partenenti a un tipo distinto sono la forma e la disposizione delle Spade e dei Bastoni sulle carte numerali di questi semi. Nello stile normale italiano, le Spade (con la sola occasionale ecce­zione di una singola dispari) sono ricurve e occupano l'intera lunghez­za della carta (sebbene alcune siano collocate orizzontalmente), ma, fatto insolito, non sono disposte in modo da intrecciarsi o intersecarsi. Invece sul 4, per esempio, due parallele, concave in direzione del margine destro, sono collocate nella metà di destra della carta, e due concave verso il margine sinistro nella metà di sinistra. Le Spade sono legate insieme da una fascia o corona. I Bastoni, che hanno un grosso manico a un'estremità, si intersecano nel modo consueto, ma le carte di solito recano dei cartigli che forniscono, in parole, il loro valore nume­rale. Non è possibile, tuttavia, definire le carte di questo tipo particolare come parte di un modello standard, poiché le figure sono molto diverse da mazzo a mazzo. Piuttosto, è come se i fabbricanti avessero possedu­to per ciascuna figura uno stock di disegni da usare in combinazioni diverse. Poiché alcune delle figure usate in questi mazzi coincidono con quelle del ‘mazzo Dick’, possiamo classificarli come appartenenti a questo tipo generale.

Nel 1939 Cary stesso scrisse un accurato articolo sui primi due di questi mazzi (7). Del mazzo 1, abbiamo tre fogli da una sola matrice, apparentemente formata da quattro file di cinque carte ciascuna, dall'Asso al 10 di Spade e Bastoni (8). Le Spade sono circondate da corone; sugli Assi, il Bastone è retto da un leopardo e la Spada da un leone.

Del mazzo 2, possiamo ricostruire per intero le due matrici originarie - fatta eccezione per una carta -  consistenti in quattro file di sei carte ciascuna (9). Insieme, esse comprendono le carte dall'Asso al 9 e tre figure di tutti i quattro semi (se si accetta l'ipotesi che una carta - troppo fram­mentaria per l'identificazione - sia il Cavallo di Coppe). Non ci sentia­mo di avallare la conclusione proposta da Cary che questo fosse un mazzo di 48 carte senza i 10, dal momento che una matrice che sarà ci­tata in seguito è formata interamente da 10. Nello stesso mazzo le Spa-de sono legate da fasce, e sugli Assi di Spade e Bastoni i segni di seme sono retti da mani umane emergenti da ampie maniche. I quattro Re sono di un tipo convenzionale, indossano brevi tuniche e sono seduti sotto archi a tre cuspidi; appaiono simili a quelli seduti sotto archi ro­tondi nel `mazzo Dick', ma alcune delle figure di torte sono più fanta­siose. Ad esempio, la figura sul Cavallo di Denari cavalca un uccello. Il Cavallo di Bastoni e il Fante di Coppe, invece, coincidono con quelli del `mazzo Dick': sul primo, il cavaliere regge qualcosa che sembra un grosso pesce e il secondo beve dalla Coppa mentre marcia portando un piffero. Una carta singola dallo stesso mazzo, il 3 di Coppe, è nel Museo Benaki di Atene; essendo stata rinvenuta fra antichità islamiche medie­vali essa attesta pertanto l'esportazione di carte italiane nell'Egitto mammelucco del XVsecolo (10).


Anche del mazzo 3 abbiamo fogli da una singola matrice, oltre a cin­que carte separate nella collezione Donson (11). La matrice presenta, an­cora una volta, quattro file di sei carte ciascuna e comprende i quattro Assi, le carte dal due al nove di Bastoni e le sedici figure. Un'altra matrice, formata solo dai 10 dei quattro semi , ciascuno ripetuto più volte (12) era forse destinata allo stesso mazzo. Gli Assi sulla matrice principale sono molto simili a quelli del mazzo 2, ma se ne distaccano nell'avere, sopra alla manica, un misterioso disegno a forma di ananas da cui parto­no dei raggi. Ancora una volta, le figure sono eccentriche. Il Fante di Bastoni è un selvaggio irsuto che regge uno scudo con una croce rossa in campo bianco. La figura più bassa del seme di Coppe è una donna, ma lo stesso non avviene nel seme di Denari.

La stessa sorprendente caratteristica si trova, rovesciata, nel mazzo Dick': con una donna a De­nari ma non a Coppe. Nei mazzi bolognesi standard fino alla metà del sec. XVIII sia per il Tarocco che per la primiera bolognesi, le figure più basse di Coppe e Denari sono femminili, quelle di Spade e Bastoni ma­schili: la stessa caratteristica si trova nei fogli Rosenwald (figura 3 - figura 4)  e in tutti i mazzi delle Minchiate, ma non si conoscono altri casi di un singolo seme con una Fantina al posto del Fante. Il Cavallo di Spade coincide nel disegno con il mazzo 2, ma rovesciato da sinistra a destra. La figura sul Cavallo di Bastoni cavalca uno strano animale a strisce con testa umana e quelle sui Cavalli di Denari e Coppe cavalcano uccelli, il primo dei quali è simile, ma non identico, al Cavallo di Denari del mazzo 2. I Re di Spade, Bastoni e Denari sono le consuete figure a tunica corta sedute sotto archi a tre cuspidi, pur non essendo identici nel disegno a quelli del mazzo 2; ma ad essi si aggiunge una Regina di Coppe in lunga veste, seduta sotto un arco dello stesso tipo, molto simile alla Regina di Cop­pe sotto arco rotondo del ‘mazzo Dick’. Normalmente, la presenza di una Regina indicherebbe un mazzo di Tarocchi, ma questa quasi certa­mente “sostituisce” il Re del suo seme.


Il mazzo 4è rappresentato da un solo foglio di tre file di sei carte cia­scuna nel Museo de Naipes di Vitoria (13). Il foglio comprende i quattro Assi, Fanti, Cavalli e Re, insieme al 2 di Bastoni e al 5 di Spade. Il 5 di Spade e il 2 di Bastoni sono identici a quelli del mazzo 1. Gli Assi di Spade e Bastoni, invece, sono identici a quelli del mazzo 3 (ma gli altri due Assi no). I Re sono le solite figure a tunica corta sotto gli archi a tre cu­spidi, sebbene non identici a quelli del mazzo 2o del 3; ma le altre figu­re sono del tutto convenzionali, al contrario di quelle degli altri mazzi.


Le Regine e i Re del `mazzo Dick' sono abbastanza convenzionali, ma le figure minori rivelano la stessa immaginazione fantastica dei mazzi 2e 3: oltre alle caratteristiche già citate - il pifferaio che tracanna vino come Fante di Coppe e il cavaliere con un pesce sul Cavallo di Ba­stoni - le figure sul Cavallo e Fante di Spade sono gravate da pesanti ar­mature. Del `mazzo Dick' non ci sono pervenute carte numerali di al­cun seme ma possiamo essere certi che sarebbero state simili a quelle dei mazzi regolari che abbiamo passato in rassegna. È evidente che nel `mazzo Dick' e nei mazzi dall'1 al 4, abbiamo un tipo di disegno di carta da gioco con sorprendenti caratteristiche autonome che, per comodità, possiamo chiamare ‘tipo Cary’. Questo tipo non si era ancora cristallizzato in un modello standard del tutto stereotipato e questo fatto, da solo, basta a garantire che si tratta di carte molto antiche, forse addirittu­ra antecedenti la decade del 1480 a cui le ho assegnate più sopra. Finora, tuttavia, niente ci aiuta a stabilire le origini, se ferraresi o veneziane.


Nel XIX secolo, gli studiosi di carte da gioco adottarono con insi­stenza l'uso, non ancora del tutto scomparso, di riferirsi genericamente ai mazzi di Tarocchi italiani da 78carte come “Tarocchi veneziani”. In realtà, solo due elementi collegano Venezia alle carte o al gioco: i “Ta­rocchi appropriati” composti dal poeta Troilo Pomeran  e pub­blicati nel 1534, e la dicitura incisa su una carta in una copia dei Tarocchi Sola-Busca (figura 5 - figura 6) “Col permesso del Senato Veneto nell'anno ab ur­be condita MLXX”. Sebbene le incisioni siano certamente opera di un artista ferrarese, la dicitura dimostra che questa copia fu prodotta per Venezia. A Venezia, inoltre, è associato un altro modello standard del tutto diverso: il famoso “gioco della Trappola” (figura 7).  In ogni caso, anche se questi documenti attestano che il gioco dei Tarocchi era noto a Venezia all'inizio del sec. XVI, non dimostrano che vi avesse mai go­duto di particolare popolarità o che fosse noto in precedenza.


Ritornando ai nostri mazzi -  il ‘Dick’ e i quattro ‘Cary’ -, notia­mo l'impressionante schieramento di autorità che è sceso in campo per Venezia: il catalogo Fournier assegna senza esitazione il mazzo 4a Ve­nezia; Cary, nel suo articolo, fa lo stesso per i mazzi 1e 2, citando il fatto che il Museo di Budapest, che allora ne possedeva i fogli, li etichettava come veneziani e assicurando che due famosi esperti di stampe concor­davano con lui. Questa testimonianza è notevolmente indebolita dal fatto che, con l'eccezione dello stesso Cary, nessuna di queste autorità reputa necessario motivare la propria opinione. La ragione offerta da Cary è che la parola usata per ‘dieci’ sul cartiglio del 10 di Bastoni nel mazzo 1è diexe, da lui ritenuta caratteristica del dialetto veneziano. (La moderna forma veneziana, diexe, risale almeno al sec. XVI (14); quella usa­ta sul foglio dei 10 al museo di Budapest, forse appartenente al mazzo 3, è dexe). Questa prova  è intrinsecamente debole, poiché le forme verbali usate sui cartigli di questi mazzi sono del tutto erratiche; comunque, non favorisce Venezia contro Ferrara  (una città che Cary non prese nemmeno in considerazione), dal momento che la forma diexe compa­re in una lettera scritta nel 1426da Ferrara al duca Borso (15).


Le prove per l'assegnazione dei mazzi a Venezia sono pertanto in­consistenti, anzi, noi crediamo che vi siano maggiori probabilità che siano state fatte a Ferrara. La documentazione che collega Venezia ai Tarocchi è scarsa e non troppo antica, mentre fonti letterarie e docu­mentarie indicano che il gioco era già noto a Ferrara sotto il regno di Leonello e fu molto popolare a corte nei secc. XV-XVI. Evidentemen­te la terza delle nostre tradizioni ebbe origine a Ferrara e da lì la importarono i Veneziani. Al contrario delle altre due, tuttavia, non sopravvisse a Ferrara dopo l’annessione al Papato e dopo il trasferimento a Modena della corte estense.

 
In sintesi, Milano, Bologna e Ferrara sono i tre centri originari del gioco dei tarocchi e quindi tre possibili luoghi di nascita: da uno qualsiasi di essi avrebbe potuto diffondersi rapidamente agli altri per poi svilupparsi indipendentemente. Lo stato attuale delle nostre conoscenze non ci permette di scegliere con sicurezza uno dei tre, ma la cultura della corte estense è in reale armonia con questa acuta e fantasiosi invenzione da far apparire Ferrara la patria più probabile.

 
Note 

 

1 - La Risposta, che sembra non sia mai stata pubblicata, esiste in un mano­scritto di mano dello stesso Lollio nella Biblioteca Civica di Ferrara. Si veda Franco Pratesi, Italian Cards: New Discoveries (3), in “The Playing Card”(Journal of the In­ternational Playing-Card Society), volu­me xv, n. 4, maggio 1987, pp. 123-131. La citazione e tratta dalla pag. 131 di questo arti­colo.

2 - Si veda G. Campori, Le carte da gioco di­pinte per gli Estensi nel sec. XV, in “Atti e Me­morie delle Deputazioni di Storia Patria per le Province modenesi e parmensi”, vol. III, 1874, pagg. 122-132, e A. Venturi, L'arte a Ferrara nel periodo di Borso d'Este, in “Rivista Stori­ca Italiana”, vol. II, 1885, pagg. 689-749.  Venturi fornisce dettagli sui pittori stabil­mente impiegati alla corte di Borso per dipingere carte da gioco. È probabilmente possibile datare tutti i quattro mazzi in­completi pervenutici al regno di Ercole I.

3 - La lettera fu scritta da Lodi l'11 dicem­bre e chiede al tesoriere di Francesco, An­tonio Trecho, di inviargli due mazzi di “carte de triumphi”. La lettera è ripro­dotta, e in parte trascritta e tradotta, da Kaplan (1978, pagg. 4-5) con l'indicazione che è stata pubblicata in Archivio Ducale Sforzesco: Registri delle missive, vol. II, parte 4, 1982, Archivio di Stato, Milano. Per i ri­ferimenti ferraresi, si veda Bertoni (1927, p. 218 nota 3) e Campori (1874, p. 216).

4 - Si veda Emilio Orioli, Sulle carte da gioco a Bologna nel secolo XV, in “Il libro e la stampa”  anno II (n. s.), 1908, pag. 112 - pagg. 109-119.

5 - Il Capitolo della Primiera di Berni (1526) nomina i Tarocchi ma non i Germini, citati per la prima volta in Le car­te parlanti dell'Aretino, Prima edizione, 1543.

6 - La più antica di queste fonti e il Sermo­nes de Ludo cum aliis, libro manoscritto di sermoni di un anonimo frate domenicano conservato nella collezione della U.S. Playing-Card Company di Cincinnati, Ohio: il libro è stato datato da Robert Steele, che ne fu un tempo il possessore, fra il 1450 e il 1480. Questa lista si discosta da tutte le altre e dal `mazzo Dick' nel mettere l'Amore come 7 e il Carro come 8 anziché viceversa. Le altre fonti sono: Piazza Universale di Garzoni; La Tipocosmia, Venezia 1561, di Alessandro Citolini da Serravalle; la Risposta dell'Im­periali; il poemetto di Trocchi appropriati pubblicato dal Bertoni, 1927, e quello di Troilo Pomeran da Citta­della.

7 - Melbert B. Cary, Jr., A stencil sheet of playing-cards of the late 17th century with two related uncut sheets of cards, in “The Print Collector's Quarterly”, vol. 26, 1939, pagg. 392-423. L'articolo è ricco di illustrazioni. Il catalogo della Beinecke Library elenca e illustra solo alcuni dei fogli che ci inte­ressano. Si possono trovare illustrazioni di quelli del museo di Budapest in Kaplan (1986, pagg. 274-276); egli li divide in gruppi corrispondenti alle matrici di provenien­za. Nei testo non ho cercato di illustrare in dettaglio ciò che è contenuto nei vari fogli frammentari, ma ho descritto le ma­trici originali, come è possibile ricostruir­le dai fogli pervenutici.

8 - Ci sono due fogli, formanti il gruppo 6 di Kaplan, a Budapest, e un singolo foglio nella collezione Cary, a cui Cary ha dato il numero di catalogo I-1998 e che egli ha descritto e illustrato nel suo articolo; il suo esemplare era stato usato come stam­po. Non è compreso nel catalogo Beinec­ke.

9 - La collezione Cary ha entrambi i fogli, descritti e illustrati anche nell'articolo di Cary e citati come I-1009 e I-1910. Oggi la Beinecke Library assegna loro i numeri di catalogo ITA 26S e ITA 24S rispettiva­mente; un frammento del secondo com­pare in catalogo come ITA 2S. Il museo di Budapest ha parecchie copie parziali o complete di ciascuno, formanti rispettiva­mente i gruppi 3 e 4 di Kaplan.

10 - Si veda M. Dummett, A note on some fragments in the Benaki Museum, in “Art and Archaeology Research Papers”, n. 4, 1973.

11 - Due copie, una praticamente comple­ta, si trovano nel Museo di Budapest, do­ve formano il gruppo 5 di Kaplan, e un'al­tra, in due frammenti, nella collezione Cary, ma non è discussa nel suo articolo. Il numero di catalogo di Cary era I-1011; un frammento compare nel catalogo Bei­necke come ITA 1S. Anche le cinque car­te di Donson sono illustrate da Kaplan e consistono nel Cavallo di Coppe, i Re di Spade, Bastoni e Denari e la Regina di Coppe, cioè le cinque carte di destra dell'ultima fila del foglio.

12 - C'è un solo esempio di questo foglio: appartiene al Museo di Budapest e rappresenta il gruppo 7 di Kaplan.

13 - In precedenza al Museo Fournier. Il mazzo è illustrato nel catalogo del museo, il cui autore ha scambiato l’iscrizione “duobus” (per “due”) sul 2 di bastoni per la data 1462.

14 - Si trova in documenti stampati in Molmenti, La Storia di Venezia nella vita privata, Prima ed. Torino 1880, IV, ed. Bergamo 1905-8,  Quinta ed. Bergamo 1910.

15 - La lettera, di Mercatello Dezello, è ci­tata da Venturi, 1885, pag. 727, nota 2.