Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Un demente descritto dal medico Cesare Lombroso

Portava un cappello adorno di penne e carte di tarocchi

 

Andrea Vitali, novembre 2020

 

 

Nel quinto volume dell’Archivio di Psichiatria 1il celebre psichiatra Cesare Lombroso descrisse un personaggio con sintomi iniziali di follia. Nonostante egli vestisse decentemente, indossava un cappello sul quale aveva applicato, oltre ad altri ammennicoli, penne e ritagli di carte di tarocchi.

 

Nello specifico, le penne sono da sempre accomunate al folle, come ritroviamo nell’iconografia di questo personaggio sia nei tarocchi che in altre espressioni artistiche. Esse sono pressoché presenti in tutte le carte del Matto a iniziare dal mazzo Visconti detto Colleoni-Baglioni (fig. 1) simile in tutto all’immagine della Stultitia dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (fig. 2), per proseguire ininterrottamente in tutte le produzioni successive, oltre che nelle Bibbie illustrate laddove si tratta dell’Insipiens ovvero del non-credente, l’ateo convinto (fig. 3). La sua presenza nel Libro Sacro è da attribuire alla Scolastica, la filosofia cristiana medievale, che mirando ad avvalorare le verità di fede attraverso l’uso della ragione, accumunò nella categoria dei folli tutti coloro che, seppur dotati di ragione, non credevano in Dio 2.

 

Occorre innanzitutto considerare che ali, piume e penne rappresentavano per gli antichi simboli della velocità. Il Cartari nella sua opera Imagini delli Dei de gl'Antichi indica le penne come attributo del Sole a significare la velocità del suoi percorso Inoltre il Sole era l’immagine del Dio stesso, e come tale di assoluta bontà oltre che di intelletto senza limiti. Sulla presenza invece delle piume sul capo di Mercurio, l'autore così si esprime: "Furono poi date le penne à Mercurio […], perche nel parlare di che egli era il Dio, o che significava forse anco la cosa stessa, le parole se ne volano per l'aria non altrimenti, che se havessero l'ali. Onde Omero chiama quasi sempre le parole veloci alate e che hanno penne" 3.

 

Le penne presenti sulla testa del folle sono da interpretare in senso contrario rispetto alla prerogativa di velocità attribuite alle eloquenti parole di Mercurio e alla velocità del Sole: se da un lato esprimono ciò che al folle stesso manca, cioè velocità d'ingegno e d'intelletto oltre ad adeguate parole, dall’altro esse divengono strumenti della sua superbia nel sentirsi in grado di scrivere chissà quali verità sulla non esistenza di Dio. Infatti, il lucchetto che si trova nella bocca dello stolto, come dipinto da Giotto, assume la funzione di bloccare il suo dire, poiché il matto altrimenti direbbe solo stoltezze, come descritto nel passo biblico: "[...] le labbra dello stolto lo mandano in rovina, il principio del suo parlare è sciocchezza; la fine del suo discorso pazzia funesta" (Eccl. 10:12, 13). Nella versione della Vulgata troviamo un’enfatizzazione della dimensione morale attraverso l’espressione ‘error pessimus’: "[...] labia insipientis praecipitabunt eum; initiam verborum eius stultitia et novissimum oris illius error pessimus” ([...] le labbra di uno sciocco [insipientis] inghiottiranno se stesso; l’inizio delle parole della sua bocca è follia [stultitia], e la fine del suo discorso è un errore gravissimo [error pessimus]) Non solo il pazzo manca quindi di parole che volano con l'eloquenza di un Mercurio e l'intelletto del Sole, ma le sue parole sono un errore pericoloso. Un motivo in più che giustifica il lucchetto posto nella bocca dello stolto.

 

Le penne o piume esprimono ancor più, data la loro leggerezza, il peso del cervello del matto, pressoché inconsistente.

 

Ritornando alla descrizione del Lombroso, si trattava di una persona che manifestava sintomi vicini alla demenza credendo di essere il Re del mondo, da cui i ritagli di carte di teste di Re posti sul cappello, ritenendosi un inviato da Dio affinché le genti vedessero in lui il nuovo Messia venuto sulla terra per castigare il mondo e riformare i corrotti costumi. Secondo Lombroso si trattava di un sentire alquanto comune nei deliranti.

 

Nella sua vita aveva svolto qualche attività lavorativa, specialmente nei campi, e con i pochi guadagni incaricava qualche furbetto di spedirgli lettere che lui scriveva all’altro mondo, al sole, alle stelle, al tempo, alla morte, al fulmine e ad altre potenze, da cui invocava soccorso, soddisfatto quando forti piogge o al contrario siccità oppure grandine o altre calamità desolavano le campagne, dato che tali eventi rappresentavano l’inizio dei castighi da lui minacciati, dando evidenza alle sue parole in quanto il tempo, il sole o il fulmine le avevano raccolte.

 

Il suo credere di essere inviato da Dio, colloca il nostro personaggio nel novero di coloro che ritenevano di essere stati beneficiati, un sentire che, come abbiamo visto, si manifesta comune nella storia della follia compreso il suo successivo sviluppo in quanto da Re battezzato da Dio egli finì col credere di essere Dio stesso. Non un’identificazione in Dio quale termine ultimo della ricerca della propria divinità raggiunta mediante una ascesi spirituale, ma un sentirsi Dio che spodestava il vero Dio e ne prendeva il posto. Siamo pertanto agli antipodi della concezione di “cervel divino” 4 tipica della filosofia e della religiosità medievale. Il nostro personaggio è da considerarsi un delirante in senso vero e proprio, avulso da ogni connotazione mistica.

 

Occorre a questo punto chiedersi il significato dei vari orpelli che adornavano il suo cappello e lo stesso abito, cioè penne, teste di Re ritagliate da carte di tarocchi, pezzi di latta raffiguranti un triangolo, il sole, un'aquila bicipite, un serpente. Dal collo gli pendeva un grosso fazzoletto annodato con un pezzo di latta tagliato a forma di corona.

 

Poiché egli si sentiva il Re dell’Universo, il triangolo, il sole e l’aquila si configuravano come simboli del suo credere in quanto il triangolo e nello specifico quello equilatero, nell’immaginario medievale e successivo era inteso quale simbolo del divino, dell’armonia e della proporzione. Infatti, poiché ogni generazione si effettua con una divisione, il simbolo dell’uomo era un triangolo equilatero tagliato in due, quindi un triangolo rettangolo, manifestante una conseguente perdita di equilibrio.

 

Il sole e l’aquila sono stati da sempre considerati simboli di maestà: Cristo era venerato quale Sole, Sol Invictus e Sol Iustitiae, mentre l’aquila era ed è ritenuta il Re degli uccelli non solo per la sua mole e forza fisica ma anche per la sua capacità di vedere oltre, una prerogativa riservata a Re e Imperatori. Risulta alquanto comune, infatti, trovare questo simbolo nelle raffigurazioni di tali personaggi (fig. 4 - L'Imperatore, dai Tarocchi Visconti Colleoni-Baglioni. Aquila sul copricapo). Riguardo la corona, essa rappresenta una delle tante Regalie di qualsiasi regnante, mentre il serpente, per il mutare la propria pelle, divenne simbolo di rinnovamento e di rinascita in grado di condurre all’immortalità. In tal senso ben si accosta al sentire del personaggio, il quale oltre a considerarsi Re e in seguito Dio, si riteneva il solo in grado di instaurare un rinnovamento all’interno della società liberandola dalla corruzione attraverso la riforma dei costumi.

 

Venendo alle penne, come visto esse si configurano quali simboli di leggerezza della mente e dell’incapacità di possedere adeguate parole, ma non è possibile dare una spiegazione razionale del motivo per cui il personaggio le avesse inserite, dato che solo lui avrebbe potuto dichiararlo. Facciamo pertanto nostro il pensiero di Marsilio Ficino laddove in una sua lettera indirizzata A gl'Huomini, così scrive "Ma in che modo in un pazzo sia l’animo, il quale altrove si sta, non so intendere” 5. Possiamo comunque accennare che in chiave analitica molto spesso si crea un rapporto fra gli elementi presenti sul capo con i problemi che si agitano in esso. D’altronde poiché i simboli non nascono dalle determinazioni del singolo, ma da un’attività autonoma dell’ inconscio collettivo, le penne in senso assoluto esprimono, come detto, leggerezza e quanto sopra espresso. Una presenza derivata dall’irruzione nel nostro delirante di contenuti inconsci, manifestandosi come un’evidente impronta di una forza superiore, a meno che la loro presenza non sia da attribuire a una scelta precisa del personaggio derivante da un ragionamento recuperato da un barlume di luce, a significare un allungamento verso l’alto della sua testa ponendosi come un messaggio di superiorità e di potere sugli altri uomini.

 

Di altro notevole interesse è il rivolgersi del nostro alle più diverse potenze per ottenere soccorso, cioè il sole e le stelle, il tempo, la morte, il fulmine e altre, tutte presenti nella sequenza dei Trionfi dei tarocchi. Se questi esprimono una Scala Mistica di carattere gerarchico 6 la cui osservanza era in grado di condurre l’uomo alla conoscenza del Divino, qui il demente si era creato una propria scala di valori, ritenendo che questi potessero fargli raggiungere scopi tutt’altro che spirituali. Potenze che si presentavano alla sua mente con la certezza che lo avrebbero ascoltato poiché egli stesso si considerava un sole per l’umanità, signore del tempo e della morte, nonché capace di distruggere a suo piacere coloro che non lo avrebbero ubbidito. Non era d’altronde egli stesso Dio?

 

La descrizione del Lombroso, dopo una presentazione della storia psichica e del carattere del personaggio, prende in considerazione la tipologia della sua scrittura, argomento non prettamente di nostro interesse. Pertanto, tralasceremo quella parte, anche se il titolo del suo intervento riflette tale indagine.

 

 

Parte I. - PSICHIATRIA

SCRITTURA IDEOGRAFICA

IN UN MONOMANIACO

CON SINTOMI INIZIALI DI DEMENZA

 

 

     "Ga... Luigi è uomo di alta statura (m. 1,72), di temperamento sanguigno, di solida costituzione, ha 63 anni e non dà segno di precoce vecchiaia; il portamento sicuro, le movenze vivaci, la faccia larga, gli zigomi prominenti, la fronte spaziosa e lo sguardo espressivo e penetrante gli danno un aspetto di una tal quale dignità che lo distingue dagli altri ricoverati.

      […]

     Presenta spesso movimenti spasmodici alle sopracciglia e sussulti fibrillari di muscoli alla faccia, sintomi che, unitamente alla diminuzione della sensibilità cutanea al destro lato, e all'aumento leggiero di temperatura e all'indole del delirio, fanno sospettare di vicina demenza paralitica.

     Il Ga... Luigi appartiene a famiglia in cui già si notarono alcuni casi di pazzia; si ammogliò in giovane età, ma non ebbe prole; non soffrì mai di gravi malattie, e fu sempre di indole pronta, impetuosa, di ingegno svegliato e sentenzioso; visse sobrio, onesto e da povero bracciante.

     A 53 anni fu ricoverato al Manicomio di Torino, ne usci migliorato dopo alcuni mesi, conservando però sempre un carattere stravagante e molta bizzarria di idee.

     Nell'autunno del 1871, senza causa chiara, cambiò di abitudini: divenne girovago, parolaio, fermava le persone più notevoli del paese per le piazze, pei pubblici uffizi, lagnandosi di ingiustizie sofferte e di solenne rivendicazione dei proprii diritti. Nella idea fissa di esser padrone di tutto il mondo, arbitro degli uomini e degli eventi, compì atti di furore a danno delle altrui proprietà, distruggeva le viti, devastava i campi e correva per le vie minacciando terribili vendette. A poco a poco sostituendosi alle autorità divine ed umane diviene egli stesso Dio e re dell'universo; come tale intende compire un radicale cambiamento d'ogni ordine sociale a suo beneficio, e un bel giorno sale sul pulpito della cattedrale di Alba onde rivelare l'alta sua destinazione e istruirne le turbe.

     Allora (26 gennaio 1872) fu condotto nel Manicomio di Racconigi; si presentò calmo e con modi convenienti; rispondeva alle domande e ricordava con precisione le circostanze di sua vita; era fermo nella fiducia di essere presto rilasciato onde far valere i suoi diritti; attribuiva il suo sequestro alla invidia e malevolenza de' suoi concittadini, contro i quali minacciava, freddamente, orribili vendette.

     Nel Manicomio non soffrì mai di malattie di sorta, e il suo contegno fu sempre uniforme.

     Era abile, assiduo operaio nella doppiatura del filo, usciva al passeggio senza mai cercare di fuggire e godeva della confidenza di tutti. Ciò malgrado non ebbe mai intermittenze nel delirio; subiva la sua umile condizione, nella ferma fiducia che il suo alto potere sarebbe un giorno o l'altro da tutti riconosciuto. Spesso chiedeva, energicamente, la propria libertà ed infuriava con veemenza di parole e di gesti contro tutte le autorità, e le minacciava, padrone com'era e personificazione degli elementi, ed ora fratello, ora figlio, ora padre del sole, di sconvolgere la terra, distruggere gl'imperi e farsi un piedestallo delle immani rovine.

     In un manicomio vivono sempre dei pazzi che sono colla divinità in intimi rapporti, credonsi ora profeti, ora ministri prediletti, ora lo stesso Redentore. Tra questi spiccava, per audacia e prepotenza, un monomane, che, pur attendendo ad umili lavori di cucina, aspettava che le genti finissero per adorare in lui il nuovo Messia, inviato da Dio a castigare il mondo e riformare i corrotti costumi.

     Con costui il Ga... sovente accendeva acerbe dispute che però non trascorrevano a vie di fatto. Erano due rivali: l'uno fanatico, soffriva le contumelie e rispondeva con calma irritante, parlando di inferno e di anticristo; ma egli, il Ga..., non riconoscendo alcuna divinità a lui superiore, minacciava guerra al cielo, morte agli uomini, ed ardente di rabbia si ritraeva dalla lotta quando più non trovava parole adatte che rispondessero abbastanza all'orgoglio che lo dominava.

     Sempre in seguito all'idea fissa di dominio universale, spesso soleva dire che ormai era stanco di provvedere del suo a tanti eserciti, a tanti oziosi, ed essere almeno giusto che le autorità ed i ricchi gli inviassero una grossa somma di danaro per riscattarsi da ciò che egli chiamava i debiti della morte. Mediante questo pagamento egli li avrebbe lasciati vivere per sempre. I poveri dovevano morire tutti come esseri inutili, ed era una enormità che egli dovesse nutrire tanti matti in un suo palazzo; perciò suggeriva al medico di tagliare loro la testa; il che non gli impediva di servirli con premura e umiltà quando cadevano ammalati. Contraddizione da paresico!

     I pochi denari che guadagnava colle giornaliere fatiche regalava a qualche furbo che incaricava di lettere e commissioni per l'altro mondo, al sole, alle stelle, al tempo, alla morte, al fulmine e ad altre potenze, da cui invocava soccorso. Era tutto contento quando o lunghe pioggie, o la siccità, o la grandine, od altre calamità desolavano le campagne, perchè erano il principio dei castighi da lui minacciati, ed il tempo, o il sole, o il fulmine l'avevano obbedito.

     Di notte egli si trasportava nell'altro mondo a veder cose e uomini meravigliosi, parlava col sole, colle stelle, colle anime dei trapassati, e svegliandosi ritornava istantaneamente da quelle regioni superiori.

     Così nei sogni la fantasia gli destava immagini prodigiose e lo trasportava in mezzo a quegli elementi che nel suo delirio credeva suoi vassalli. Erano allucinazioni psichiche, rapimenti e visioni, di cui svegliandosi misconosceva l'ingannevole natura. Figli del suo delirio, questi sogni lo confermavano nel delirio, e ne moltiplicavano gli strani concetti. Accadeva nel Ga... ciò che in molti alienati, a cui le allucinazioni dei sogni sono dalla mente inferma scambiate per realtà e diventano nuovi amminicoli del delirio.

     In un baule teneva qualche rozzo abbozzo di corone: «erano le vere corone dei regni ed imperi d'Italia, Francia e altri Stati, perchè quelle portate dai rispettivi Sovrani non avevano più alcun valore, ed erano usurpate da uomini miserabili destinati a prossima distruzione, a meno che non pagassero a lui i debiti della morte in cambiali di molti miliardi.»

     Questo delirio si manifestava non solo a parole, ma anche nel vestire e nello scrivere.

     Vestiva decentemente e con cura, ma sul cappello portava penne, ritagli di carta con figure bizzarre, teste dei re da tarocchi, pezzi di latta frastagliati in modo da raffigurare un triangolo, il sole, un'aquila bicipite, un serpente e l'anno 1878; al collo pendevagli un grosso fazzoletto annodato con un pezzo di latta tagliato a forma di corona. Questi ed altri oggetti simili, sebbene privi di valore reale, erano insegne e simboli del suo potere e ne era gelosissimo custode.

     Ma più di tutti questi ticchi era caratteristica nel Ga... la manifestazione grafica del delirio. Egli aveva imparato da giovane a leggere e scrivere, ma ora sdegnava l'uso della scrittura volgare. Vergava spesso lettere, ordini, cambiali, ora al sole, ora alla morte, ora alle autorità civili e militari, ed aveva sempre una tasca piena di questi fogli. La sua scrittura consiste, essenzialmente, in grosse lettere maiuscole, a cui di tratto in tratto frammischia segni e figure indicanti gli oggetti o le persone. Le parole sono per lo più separate da uno o due grossi punti, e d'ogni parola scrive solo alcune lettere, quasi sempre le consonanti, senza alcun rispetto alle norme del Sillabario. Inoltre egli pensa e scrive nel proprio dialetto; nè sempre la parola pensata corrisponde a quella adombrata nella scrittura; perciò questa è di difficile intelligenza, anche a chi volesse farne uno studio, perchè non ha regole fisse, ed il Ga... medesimo non è sempre capace di leggere i fogli scritti da molto tempo.

Così per dire: «Domine Dio Sol è ricoverato all'ospedale di Racconigi fa sentire al prefetto del tribunale di Torino se vuol pagare i debiti della morte. Prima di morire venga di presto all'ospedale di Racconigi», egli riempie un grosso foglio a questo modo:

 

 

 Figura 1

 

     La firma poi sarà sostituita nelle sue scritte successive da un'aquila bicipite con una faccia in mezzo che è uno dei suoi prediletti stemmi.

     È chiaro che, oltre il salto di alcune lettere, specie vocali, come i semiti, vi ha qui l'uso di quelli che nei geroglifici egiziani si chiamano determinativi. La morte, per es., è segnata con l'ossa da morto, e il prefetto del Tribunale di Torino da un molto brutto profilo, o da una mezza luna.

     In altre comunicazioni è andato ancora più addietro atavisticamente; e l'alfabeto è quasi scomparso sotto le figure che lo suppliscono".

     […]

                                                                                                               

                                                                                                                             Dott. C. TOSELLI
                                                                                                                             Prof. C. LOMBROSO

 

Rimanendo in tale ambito, riportiamo un breve resoconto su un personaggio - da non considerarsi necessariamente un imbecille psichico - il quale possedeva la capacità straordinaria di compiere calcoli mentali “moltiplicando le cifre con una rapidità straordinaria”. All’età di tre anni ripeteva a memoria tutte le carte dei tarocchi descrivendone anche il loro valore, semplicemente per aver assistito alle partite che si giocavano nell'osteria di suo padre.

 

GUIDO GABARDI – Un calcolatore prodigio epilettico.

 

     “Vive a Lesa, sul Lago Maggiore; ha undici anni e quattro mesi; ha tre altri fratelli minori, due femmine ed un maschio. I genitori sono sani e robusti. Soffrì di meningite ad undici mesi. Ha frequenti accessi da molti anni, per cui non frequentò nessuna scuola regolare. L'accesso epilettico motore-classico lo coglie spesso nella via. Talora però ne ha l'avvertimento per un'aura sensoriale e riesce a ritirarsi in casa. Fisicamente è gracile, anemico: però sviluppato psichicamente tanto da non poter considerarsi un vero imbecille. Parla correttamente: ha una certa vivacità d'immagini. A tre anni ripeteva a memoria tutte le carte dei tarocchi riferendone il valore, semplicemente per aver assistito alle partite che si giuocavano nell'osteria di suo padre. Cominciò poco dopo in modo spontaneo, meravigliando i suoi di casa, a fare dei calcoli, moltiplicando le cifre con una rapidità straordinaria.

     Riportiamo un'esperienza come saggio della potenzialità del piccolo epilettico.

«Quante ore e quanti minuti ha vissuto un uomo di 58 anni?».

    Si tappò le orecchie un'altra volta, guardò fisso il suolo ed esclamò: «Scriva», e mi dettò una per una queste cifre: ore 508,080, minuti 30,484,800, avvertendomi che ogni quattro anni fa d'uopo aggiungere 24 ore, e cioè 1440 minuti.

    La particolarità di questo fanciullo sta nella grande precocità, superiore a quella di tutti i calcolatori prodigio studiati scientificamente e l'essere egli in modo indubbio un vero epilettico classico. Il caso è molto interessante o merita di essere sottoposto ad un esame completo per il rapporto fra epilessia e genialità” 7.    

                                                                                                                                                                        

                                                   G. ANTONINI

 

Note

 

1. Archivio di Psichiatria, Antropologia Criminale e Scienze Penali per servire allo studio Dell’Uomo Alienato e Delinquente, Volume Primo con 9 tavole, Torino e Roma, Ermanno Loescher, 1880, pp. 3-12.

2. Al riguardo si veda Il Matto.

3. Vincenzo Cartari, Le Imagini de i Dei de gli Antichi... Raccolte dal Sig. Vincenzo Cartari, In Venetia, appresso Giordano Ziletti, e compagni, M.D. LXXI [1571], p. 322.

4. Al riguardo si veda Il Matto.

5. Tomo Primo delle Divine Lettere del Gran Marsilio Ficino. Tradotte in Lingua Toscana per M. Felice Figliuccii Senese, Libro Terzo, In Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de Ferrari, MDXLVI [1546], p. 226

6. Per approfondire l’argomento si veda La Scala Mistica nel ‘Sermo de Ludo’.

7. Archivio di Psichiatria, Scienze Penali e Antropologia Criminale, Vol. XIII (Vol. VII della Serie II), Torino, Fratelli Bocca - Editori, 1902, p. 492.

 

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