Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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La Tarocchiera

Una 'delizia' dove giocare a Tarocchi

 

Andrea Vitali, giugno 2017

 

 

Salette assegnate ai divertimenti presso le corti, osterie, case private, ridotti dei teatri specialmente in tempo di carnevale: questi i luoghi deputati al gioco delle carte nel Rinascimento, nell’età barocca e fino a tutto l’Ottocento. Ci ha sorpreso piacevolmente venire a conoscenza di una struttura fatta costruire appositamente per giocare a carte. Si tratta di una costruzione a forma ottagonale, edificata di comune accordo da quattro ricche famiglie locali per giocare a tarocchi nella tranquilla atmosfera del lago. Non a qualsiasi gioco di carte, ma a tarocchi, da cui il suo nome.

 

 

Tarocchiera

 

 

L’edificio è situato all’interno del parco Olivelli, conosciuto anche come parco Meier dal nome dei suoi ultimi proprietari. Esso deve la sua struttura all’architetto Pietro Lingeri che unì le due parti del parco con una grande scalinata alla cui base pose una splendida fontana abbellita da un insieme di statue: un’avvenente figura femminile con ai lati due enormi delfini cavalcati da fanciulli. Inoltre, ancora presente, è la seicentesca Villa Ortensia, un tempo al centro del parco.

 

Tali delizie si trovano sul lago di Como, in quel di Tremezzo che ha dato il nome alla Riviera di Tremezzina o delle Azalee, conosciuta fin dal medioevo per la mitezza di un clima sempre primaverile, luogo in cui soggiornarono personaggi come Giuseppe Verdi, la regina Vittoria d’Inghilterra, il Kaiser Guglielmo II e Greta Garbo. Il paese, situato sulla sponda occidentale del Lario di fronte a Bellagio e a pochi chilometri da Menaggio, gode di una splendida vista sul bacino centrale del lago e sui rilievi delle Grigne. L’origine del nome Tremezzo si deve probabilmente alla sua ubicazione, a mezza strada dall'antica Via Regina fra Como e Sorico.

 

Ritornando alla Tarocchiera, nel Settecento e Ottocento chiamata Tarocchera, quattro degli otto lati interni erano arredati con grandi armadi adibiti a guardaroba e a dispensa dalle famiglie che avevano costruito l’edificio. Nei restanti quattro lati si aprono grandi finestre da cui è possibile ammirare uno straordinario panorama.

 

 

 

Interno

 

 

 

Siamo stati edotti della sua presenza da una poesia di Antonio Maria Stampa intitolata Tremezzo, inserita all’interno di una raccolta di sue rime pubblicate postume nel 1867 1. Poiché l’autore morì nel 1734, la costruzione della Tarocchiera deve farsi risalire indicativamente verso la fine del Seicento o ai primi del Settecento. Siamo informati in parte su Padre Antonio Maria Stampa da G.B. Bolza da Valmenaggio, curatore del citato volume di poesie, il quale ne introduce la vita in una presentazione delle sue rime indirizzata “Al benevolo lettore”:

 

“Accade talvolta al pescatore nel trarre le reti di trovarvi cosa ben altra che i pesci a cui le avea tese; e a me pure avvenne alcun che di somigliante. In traccia di Canzoni popolari comasche, per cortesia dell'ottimo Arciprete di Menaggio, Don G. B. Cornelio, venni in cognizione d'un manoscritto, che poi dal suo proprietario, Don Carlo Persini, Coadjutore alla Prepositura di Gera, mi fu gentilmente donato con facoltà di disporne come di cosa mia: il manoscritto contiene diciotto lepide poesiette, quali più, quali meno felici, intorno ai soprannomi che si danno agli abitanti delle principali terre che siedono sulla riva destra del lago di Como. La pubblica voce ne fa autore il Padre Giuseppe Maria Stampa, somasco, da Gravedona, morto nel 1734, indottavi forse dall'autorità del Conte G. B. Giovio, che nel suo Commentario, intitolato Como, e il Lario, così di lui scrisse: «Sul principio del secolo presente cadde in cuore al P. Giuseppe Maria Stampa, somasco, di verseggiare alcuni motti e fole, che diconsi contro, navigando, l'un l'altro da tempi remoti gli abitatori delle varie terre lacuali. Girano manoscritte tali rime, e giovano ad ingannare le ore della barca. Ma il Giovio scambiò un fratello coll'altro; e tanto Cesare Cantù, il quale nell'opera da lui diretta Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, ne diede brevi saggi, quanto altri scrittori moderni, convengono nell'attribuirli ad Antonio Maria Stampa, fratello del somasco Giuseppe Maria, il quale nella prigionia in cui fu tenuto nel Forte di Fuentes come uomo inquieto e rivoltoso, scrisse, oltre ai versi che qui si pubblicano, la Storia dell'insigne borgo di Gravedona fino al 1725, e la Storia del Regno di Angera. L'opuscoletto è inedito; e parendomi che possa leggersi con diletto da chi abita sulle rive del nostro lago, o le visita, mi pensai che meritasse d'esser tolto di mano ai copisti, i quali più e più vengono guastando l'originale, sì che alla copia ch'io ebbi (di cui lo stesso possessore, mandandomela, deplorava le mende e le lacune) mi convenne fare non poche racconciature. È poi quasi superfluo l'aggiungere che i tratti satirici del nostro poeta contro gli abitanti delle terre discorse non vogliono essere presi sul serio, e sono in parte da mettersi in conto del mal umore cagionatogli dalla prigionia” 2.

 

I versi della poesia dodicesima dal titolo Tremezzo parlano esclusivamente della Tarocchiera sulla quale l’autore ironizza, a iniziare dalla sua forma ottagonale presa a prestito dagli oratori 3, quasi fosse un tempio dedicato al Dio Tarocco. Nel chiamarla poi come 'lanterna' invece di casa o magione - suggerendo con ciò una sua assimilazione con la carta dell’Eremita - lo Stampa sembrerebbe paragonare il suo lume - dovuto all’accensione di una luce nella parte superiore della costruzione chiamata appunto 'Lanterna' allorquando i proprietari giocavano di notte - a quello degli antichi riti pagani, come ritroviamo ad esempio nel ‘Navigio d’Iside’ 4, dove la luce nella notte era considerata un punto di riferimento in senso mistico nonché simbolo di interiore illuminazione. Il paragonare la struttura a una uccelliera esprime d’altronde la prigionia a cui i suoi abitanti erano costretti, dato che quel gioco rendeva prigionieri i suoi adepti, che trovavano pressoché impossibile allontanarvisi. Tutti adoratori del quindici dei tarocchi, cioè del Diavolo, che li attirava in quel luogo distogliendoli dalle chiese. Chi l'avesse osservato da lontano avrebbe avuto inizialmente l'idea che quel lume indicasse una veglia funebre, ma, a ben vedere, le risa e gli schiamazzi portavano a considerarla per ciò che essa realmente era, in cui assieme alle streghe emeriti farfalloni se la spassavano circondati da barilotti di buon vino. Una chiesa profana verso cui coloro che amavano giocare a tarocchi erano spinti a inginocchiarsi, quasi che il Dio del gioco, attraverso quel rituale, potesse favorirli nella vincita. Una gabbia di matti, insomma, equiparata altresì al ridotto di un teatro.

 

I toni, sebbene ironici e arguti, non sono intrisi di quella acerba condanna con cui la Chiesa si era espressa dal Cinquecento in poi contro i tarocchi. Infatti, occorre ricordare che si tratta di poesia, dove la satira nell'intenzione dell'autore viene mitigata da versi tesi a sollecitare il riso piuttosto che la condanna. Infatti, come scrive il curatore nel passo sopra riportato "È poi quasi superfluo l'aggiungere che i tratti satirici del nostro poeta contro gli abitanti delle terre discorse non vogliono essere presi sul serio".

 

XII

 

TREMEZZO

 

    Posta appiè d'un promontorio 

Che del Lario appunto è al mezzo
Sta la terra di Tremezzo,
Dove in forma d'oratorio (1)
Di repente s'offre agli occhi
La lanterna dei tarrocchi (2).

    Un uom ricco del paese
Per attendere a quel giuoco
Fabbricolla a proprie spese
Sì che fosse assai più bella
D'ogni chiesa, ogni cappella.
Alla cupola, alle mura,
Alle porte, alle loggette,
Ai balconi, alle torrette,
Al disegno, alla struttura,
Si presenta in tal maniera,
Che ella sembra un uccelliera.

    Non son tanto frequentate
Dalle pie genti le chiese
Rinomate del paese
Quando celebran lor festa,
Quanto questa

Dove il popolo coi sindici

De' tarocchi adora il quindici (3).

    Chi la vede da lontano

Fatta in forma di cappella,

Genuflesso inanzi a quella

Batte il petto colla mano,

E dal Dio ch'ivi si adora

Quel che più gli preme implora.

Ma a chi poi le va vicino

E vi vede gente assisa,

Che fra i gridi e fra le risa

Sta giuocando al tavolino,

Alle smanie, agli urli, agli atti,

Una gabbia par di matti.

E difatti alla sembianza

Di quei muri e di quel tetto

Giurerei che l'architetto

Che costrusse quella stanza

Il model n'abbia dedotto

Dalla gabbia d'un merlotto,

    Chi di notte illuminata

L'osservò la prima volta

Colla gente ivi raccolta

Che nel giuoco era occupata,

Certo, disse, entro quel porto

Fan l'esequie a qualche morto.

Ma chi meglio il ver discerna,

Osservando quel fanale

Nol direbbe un funerale,

Ma piuttosto una lanterna,

E color ch'entro i balconi

Stan giocando, farfalloni.

    Uom già fu che non sapendo,

Nè intendendo
La cagion di quella luce,
Si credè che il nero duce
Dell'inferno ivi sedesse,
E tenesse in quel ridotto
Colle streghe il barilotto.
E ancor oggi quando passa
Da quei lidi alcun nocchiero,
Volto l'occhio al forestiero,
Dice a lui con voce bassa
Che a quel tempio s'inginocchi
Se vuol vincere ai tarocchi. 5

 

(1) in forma d’oratorio = ottagonale

(2) Questo singolare edifizio è ora detto la Tarocchera [n.d.c]

(3) De' tarocchi adora il quindici = Il Diavolo, quindicesima carta dei Trionfi

 

Note

 

1. Antonio Maria Stampa, Poesie Giocose intorno ai soprannomi che si danno agli abitanti di alcune Terre del Lario, ora per la prima volta pubblicate dal Dr. G.B. Bolza da Valmenaggio, Como, Tipografia di C. Franchi, 1867. 

2. Ibidem, pp. V-VII

3. Sul significato simbolico del numero otto in ambito cristiano si vedano Le Stelle e  Castel del Monte.

4. Sul Navigio d'Iside si veda La Luna.

5. Antonio Maria Stampa, cit., pp. 42-44.

 

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