Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Della Passione del Gioco

Carattere e ritratto del giocatore nella Francia e nell'Italia del XIX secolo

 

Andrea Vitali, settembre 2012

 

 

Il medico francese Jean Baptiste Félix Descuret (1795-1871) deve la sua fama essenzialmente a due scritti: il primo, Les Merveilles du corps humain (Meraviglie del corpo umano) pubblicato nel 1856, è incentrato sul rapporto tra medicina e religione, composto a uso dei religiosi e degli studenti di filosofia. Il secondo, Médecine des passioni ou les passioni considérées dans leurs rapports avec les maladies, les lois et la religione" (Medicina delle passioni o passioni considerate nel loro rapporto con la malattia, la legge e la religione) risulta molto più importante in quanto si configura come uno fra i primissimi studi in ambito psicosociale 1. Pubblicato nel 1841, raccoglie i risultati derivati dall'osservazione del Descuret su migliaia di pazienti in riferimento alle loro passioni e ai loro vizi, valutati da un punto di vista medico, religioso ed economico.

 

Il XII Capitolo Della Passione del Gioco 2 rappresenta un’accurata indagine sul mondo dei giocatori nella Francia del sec. XIX di cui l’autore riporta in tabelle statistiche i proventi delle amministrazioni delle bische, i rendiconti generali della giustizia criminale riferiti ai suicidi dovuti al gioco, i processi correzionali, e altro ancora.

 

Il Capitolo è diviso nei seguenti paragrafi:

 

Sua definizione, antichità, sua diffusione e progresso in Francia.

Cause.

Carattere e ritratto del giuocatore.

Andamento della passione del giuoco; suoi effetti e termine.

Cura.

 

A questi seguono le Osservazioni consistenti in quattro esempi:

 

I Triste conseguenza della passione del giuoco inculcate a un giovane da sua madre.

II Rovina di un commerciante cagionata dalla passione di sua moglie per il lotto.

III Suicidio di un giuocatore.

IV Un giuocatore corretto.

 

Di seguito riportiamo parti di alcuni paragrafi sopra elencati:

 

Carattere e ritratto del giuocatore

 

“Guarda quel maniaco assiso immobile a un tavolino da giuoco, diresti che le sue membra vi si vogliono attaccare. L’immobilità e la rigidezza quasi tetanica che osservasi nella maggior parte de’ giuocatori dipende dall’ impazienza concentrata che li divora. Infatti le decisioni del giuoco, per quanto pronte, sembrano loro di una lentezza insoffribile. Il tempo che loro apparisce più lungo è quello che scorre tra lo sfagliare delle carte, o il cader de’ dadi.

 

Altrove all’infuori del suo circolo, il giuocatore di professione fugge la società; preferisce viver solo coi suoi rovesci di fortuna e le sue tetre inquietudini; allora prova le contemplazioni e i terrori dell’avaro in faccia del suo tesoro. Secondo l’osservazione di un pratico corretto, i giuocatori sono affettuosi e chiacchieroni fra loro soltanto. Eglino si comunicano le loro gioie, i loro errori, le loro afflizioni, i loro sistemi in pieno successo o abbandonati, ma la loro conversazione ha sempre per oggetto il giuoco. Hanno nelle bische una quantità d’amici, di cui non sanno né il nome, né la dimora, né la professione, né il passato, né la situazione attuale. In istrada, giammai un giuocatore saluta un giuocatore. Del resto, ripudiano la denominazione di vizioso per quella di calcolatore o di speculatore; il giuocatore di professione non confessa che ha perduto (questa parola gli sarebbe antipatica); solamente egli subì una contrarietà. Il giuoco ha divorato tutti i suoi capitali, egli non dice che perdette, ma che fece un salto; salto che lo scaraventa spesso nello abisso.

 

Sarebbe lunga impresa e difficile dipinger tutte le gradazioni di questa deplorabile mania. La sua fisonomia morale varia a seconda delle differenti specie di giuocatori; e d’altra parte le sensazioni contrarie che li agitano, si distruggono a vicenda e non presentano che tratti confusi e quasi impercettibili. Cosi vi sono giuocatori audaci, pei quali la perdita sprona il desiderio; ve ne sono de’ pusillanimi che tremano anche quando hanno il quarto d’ora favorevole; de’ superstiziosi che volendosi liberare dalle proprie perplessità, s’attaccano a chimere, come a’ sogni, ai presentimenti, a’ giorni di cattivo augurio, ai posti cattivi, a’ vicini che recano sventura ecc.; ve ne sono dé’ sistematici i quali non si danno al giuoco se non per ispeculazione; vi sono de’ giuocatori galanti che si disimpegnano prontamente e con bel garbo; de’ giuocatori fastosi, che sacrificano l’avidità all’orgoglio; vi sono, dicesi, de’ giuocatori benefici, i quali considerano il guadagno come un mezzo di far donativi o elemosine (se quest’ultimo carattere esiste deve essere rarissimo); finalmente si vedono individui che hanno del pari la passione del giuoco, del vino e delle donne; ed allora tal passione è un abisso senza fondo che ingoia le più vaste fortune. La riunione di questi tre vizii non tarda ad abbrutire lo spirito, a pervertire affatto il cuore, e ad alterare assai gravemente la salute. Quest’ultima classe forma quella de’ giuocatori libertini che non è la meno numerosa: pullula nelle grandi città, e popola le carceri e le galere, perché i disordini a’ quali si abbandona la trascinano quasi sempre al delitto”.

 

Andamento della passione del giuoco; suoi effetti e termine

 

«Chiunque non sa resistere al primo adescamento di questo dannoso passatempo, attizza adunque un fuoco che forse poi non potrà più estinguere. Molti in principio non vi consacrano che brevi istanti: ma presto vi consumano ore intere, poi giorni, poi notti intere e insensibilmente divengono giuocatori appassionati. Allora la corruzione di quelli, coi quali si adunano, non tarda a impossessarsi di loro; imperocchè i giuocatori di professione non si avvicinano mai se non per comunicarsi i propri vizii; e chi si arrischia a entrare in loro compagnia e ben vicino a somigliarli: così la signora Deshoulières ha detto con verità e grazia;

 

Le désir de gagner, qui nuit et jour occupe,

Est un dangereux aiguillon:

Souvent, quoique l’esprit, quoique le cœur soit bon,

On commence par étre dupe,

On finit par étre fripon

 

Di guadagno il desio, che a tutte l’ore
La mente occupa, è pungiglion dannoso.
Sia pur ingenua la mente e retto il core,
Se nol vinci con sforzo generoso,
Comincierà col farti simulato,
Finirà col ridurli scellerato.

 

“Io non consiglierei alcuno, dice La Bruyère, ad essere furfante; ma dico, che sarà lecito al solo furfante darsi corpo ed anima al giuoco; l’uomo onesto se ne deve astenere; è troppo grande puerilità esporsi a grosse perdite”.

 

L’infamia non è il solo termine di questa funestissima passione: comunemente vedesi terminare colla miseria e colla malinconia, a volte colla pazzia, e coll’omicidio e col suicidio. È nota la seguente epigrafe fatta per una bisca:

 

Ici deux portes a cet antre

L'une s' ouvre à l'espoir, l'autre au crime, à la mort;

C'est par la premiere qu'on entre

Et par la seconde qu'on sort

 

Quest’antro ha quì due porte:

Una s’apre alla speme che t’invita,

L’altra s’apre al delitto ed alla morte.

La prima da l’ingresso,

La seconda l’uscita

 

B. Levrauld ebbe a notare essere i giuocatori molto soggetti ad ingorghi de’ visceri dell’addome, del pari che alle affezioni aneurismali del cuore o dell’arco dell’aorta». 

 

A questo proposito, riportiamo dal primo volume di quest’opera, il racconto della morte di un giocatore dovuta proprio alla rottura di un tumore aneurismale dell’aorta: “Sanità, fortuna, credito, onore furono ad un altro ingoiato dal giuoco. Per lunga pezza si credette favorito dalla sorte: ma ciò non fu che vana lusinga; due notti bastarono a rovinarlo del tutto. Da un anno vegetava nella capitale, in mezzo a quella turba di sfaccendati, la cui esistenza è un problema, quando un impiego assai lucroso lo mise al coperto della miseria, e gli ministrò mezzi di calmar l’agitazione febbrile e l’ansiosa avidità che provava. Già le sue membra infiacchite cominciano a riprendere l’antico vigore, già la freschezza del colorito annunzia un miglioramento notabile nella sua costituzione, quando, trascinato come spettatore in una bisca, la vista dell’oro basta a riaccendere in lui tutto il fuoco della passione. Il giorno di poi ritorna al giuoco, non più come spettatore, ma come parte, e la sorte mostrandosi a lui propizia, continua a giuocar con più furore di prima. In meno di un mese è ritornato alle sue antiche abitudini, quando una mattina è trovato morto nel suo letto in conseguenza della rottura di un tumore aneurismale dell’aorta. Le emozioni del giuoco lo avevano ucciso” 3.  

 

Andamento della passione del giuoco; suoi effetti e termine

 

(Ripresa)

 

"Il dottore Veron ne osservò parecchi di cui la salute era perfetta tutti i giorni della vincita, mentre che tutti i giorni di perdita soffrivano spasimi interni accompagnati da nausee, da vomiti, da dolori di capo, da una sete ardente e da un malessere generale.

Quello che poi maggiormente sorprende, si é che si son trovati uomini si feroci da appostare, durante la distribuzione dei viveri, quelli ai quali avean’ in tal guisa guadagnato il vitto, e non lasciarli che dopo aver loro strappato di mano il tozzo di pane di cui non potean far senza. Aggiungerò un ultimo fatto che dimostra fino a qual segno il delirio dell’amore del giuoco può accecare un essere ragionevole. l medici della casa centrale di Monte San Michele osservarono un condannato, il quale giuocava con tale ardenza, che nell’ infermeria, malato com’era, abbandonava alla sorte del giuoco la porzione di brodo o di vino a lui si necessaria per ristaurare le sue forze stremate. Questo sciagurato mori di sfinimento.

Il Tanzinì racconta un fatto che ha dell’incredibile, il quale gli fu assicurato da persona degna di fede. Certo signore di L.. che molti anni sono col giuoco perdette un ricco patrimonio, isolato affatto e senza un soldo, per satollare la passione, faceva correre o piuttosto camminare una specie di palio ad alcuni pidocchi (a che stato era ridotto!) e scommetteva seco stesso che avrebbe vinto quello piuttosto che quell’altro. Se indovinava era tutto contento; se no, imprecava come un ossesso, e con uno spillo trafiggeva quello rimasto indietro, colmandolo di vituperi".

 

Osservazioni

 

I. Triste conseguenze della passione del giuoco inculcate a un giovane da sua madre

 

«Condannato a otto anni di ferri per falso di scrittura, l’infelice D... espiò la sua colpa al bagno di Tolone. Questo giovane aveva ricevuta un’educazione accuratissima ed era di buon’ indole, salvo che aveva ereditato da sua madre, la passione del giuoco spinta fino alla monomania. Ecco la confessione che egli fece al dottore Lauvergne, medico in capo dell’ospedale dei forzati in quella città:

“Mia madre, egli diceva, lontana dal marito che serviva nelle armi, non lasciava le carte, e mi ricordo che dopo lunghe serate in cui avesse vinto o perso, mi teneva sveglio per tentare con me le probabilità allora disinteressate del giuoco. Si, dottore, le carte furono la mia balia; avvegnaché io posso dire che le vincite al giuoco ci facevano campare. Quando mia madre perdeva, mangiavamo un po’ di pan secco non senza versare lacrime; ma la gioia e la felicità non tardavano a venirci a rasserenare, quando il vento tornava a soffiare propizio. Le carte sono vere sirene; quanto bene e quanto male mi fecero mai. Credereste voi che la vista di un fante a cuori, anche quando non si trattava di giuocare, produceva nel mio cervello un effetto più magico di quello che potessero operare in me i grandi quadri di Raffaello a Roma? Credereste voi che poco mancò che non sia morto di apoplessia una ventina di volte, quando sicuro di fare una buona vincita, la fortuna nel più bello mi faceva scilecca? Il falso in scrittura che mi condusse qui viene da un maledetto asso che impegnò la mia parola, e quella di un giuocatore leale è sacra. Sacrificai l’onore per pagare l’infedeltà di una carta che io poteva credere in mano del mio compagno; i miei occhi avevano letto male nei suoi. Oh! la passione del giuoco, come io l’ho provata, è un male d’inferno: ella si impadronisce di tutte le facoltà dell’uomo e le concentra tutto nella ricerca rischiosa di una carta. Il giuoco, per me, fa una furia qualche volta amabile; ma il più delle volte intrattabile e perfida: allora io la inseguiva irritato e passionato. Mentre era impegnata la partita, mi teneva la mano diritta al cuore che balzava d’ impazienza; a stento lo comprimeva, e quando la sorte mi era contraria, non era raro che ritorcessi contro di me la disperazione; mi lacerava la pelle del cuore con le unghie. Guardate, ecco le cicatrici di un giuocatore!”. E dicendo queste parole, D... mostrava nella regione del cuore profonde cicatrici lineari che attestavano le sue antiche torture.

Da alcuni anni, soggiunse Lauvergne, D... ha orrore delle carte: la loro vista fa su lui il medesimo effetto dell’acqua in un idrofobo, o come l’oppio su colui che poco mancò si avvelenasse con questo narcotico».

 

III. Suicidio di un giuocatore

 

"Ogni anno gli annali dei delitti registrano, in media, nove giuocatori rovinati che ricorsero al suicidio per sottrarsi al disonore. Non riprodurremo dunque qui che un solo esempio di questa deplorabile fine.

Nel 1853, un giovane abitante in provincia era sul punto di contrarre un matrimonio di inclinazione che assicurava la sua felicità. Egli andò a Parigi per comprare regali di nozze e per realizzare diverse somme ragguardevoli impiegate nei fondi pubblici, e destinate alla compra di una proprietà vicina al castello del suo futuro suocero. Terminati gli affari, il provinciale si disponeva a ripartire, quando incontra un amico che non ha veduto dopo che egli usci di collegio, e che lo invita a desinare. Accetta esultante; è pure una bella cosa quando uno è giovane, e che tutto arride, trovare un compagno d’infanzia col quale si possa chiacchierare del passato! L’amico però è un cavalier d’industria, lo conduce in una casa ove si trovano una ventina di convitati, fra i quali diverse donne. E una tavola rotonda di bella apparenza. Eccellenti sono le vivande, la conversazione animata; lo spumeggiante vino di Sciampagna vien versato in abbondanza, e già offusca i cervelli, che voglionsi disarmare della loro ragione. Dopo desinare tutti passano nella gran sala; si stendono sulle tavole tappeti verdi. Il giovane provinciale è invitato a prender le carte: egli cede senza diffidenza. Il caso lo favorisce sulle prime, secondo la tattica praticata in quelle fraudolenti combriccole; poi quando l’esca ha prodotto il suo effetto, quando la febbre del giuoco è giunta al suo ultimo parosismo, la fortuna si cambia, la borsa del giuocatore si vuota. Egli apre il suo portafogli, che per misura di sicurezza portava indosso; i biglietti di banca ne escono successivamente, e passono fino all’ultimo nella tasca dei bari. Lo sciagurato lascia allora quella casa fatale con la disperazione confitta nel cuore. Cosa fare! Impossibile dissimulare questa breccia fatta alla sua fortuna. La sola rivelazione di un tale sbaglio basterebbe d’altronde per mandare a monte il matrimonio! Ecco per sempre svanita ogni felicità! Con tal triste e tardivo pensiero, si riduce a casa e si brucia il cervello.

Assicurasi che alla notizia del suo tragico fine, la giovine fidanzata si ammalò e non andò guari che soccombette".

 

IV. Un giuocatore corretto

 

"Verso il 1817, Alfonso B... appartenente a una onoratissima famiglia di provincia, ma che si trovava poco favorito dalla fortuna, venne a Parigi nell’età di diciannove anni per dedicarsi allo studio del diritto. Riconoscente dei sacrifici che i suoi parenti s’imponevano per creargli una posizione, si dette, sulle prime, al lavoro con intenso ardore, e seppe resistere a tutte le seduzioni da cui era assediato. Trascorse un anno in tal modo; Alfonso pareva trovare la felicità in questa lodevole condizione, quando fu invitato a desinare in casa di un suo compaesano, che gli doveva rimettere un trimestre della sua pensione. Dopo desinare, durante il quale non era stato risparmiato vino generoso, il giovane convitato, scevro di diffidenza, e condotto in una bisca, ove, fascinato dalla vista di monticelli d’oro messi in mostra sui tappeti, li fissa con tal occhio come se fosse inebetito. Chi l’accompagna gli susurra all’orecchio i guadagni enormi di diversi giuocatori, gli parla con calore dei casi di fortuna aperti a coloro che sanno rischiare qualche cosa in tempo, dichiara che egli si trova in vena, e finisce col chiedere in prestito i cento scudi che gli ha rimessi, promettendo quadruplicarli e di associarlo alle sue vincite Perplesso, fremente di timore pel suo denaro, il giovane B... non osa ricusare la domanda dell’imprestito, solamente lo scongiura sotto voce di non esporre l’intiera somma. Ma tosto questa somma si quadruplica realmente, e lo studioso Alfonso, elettrizzato dalla gioia, per diverse scommesse fortunate che tenta alla sua volta, si trasforma in un attimo in giuocatore forsennato che bisogna, per così dire, strappare per forza dal teatro delle sue gesta.

Le riflessioni, le perdite che fece nel periodo successivo, l’averla rotta col furfante che l’aveva trascinato nell’abisso, non riuscirono a vincere in lui questa passione funesta; vi si abbandonò per otto anni consecutivi. Finalmente, l’eccesso della miseria lo costrinse ad accettare un impiego in una casa di commercio, dalla quale ignoravasi il vizio che rendeva vituperata la sua vita. D’altronde, fino d’allora, lo sfortunato non aveva mai obliato i principii d’onore dovuti alla sua educazione.

Un giorno che era latore di biglietti di banca appartenenti al suo principale, entra senza volerlo, nella casa di giuoco, ove sempre l’attraeva la sua fatale inclinazione. Viene invitato a fare una partita; ricusa, atteso che avendo perduto tutta la notte precedente, non ha uno scudo da poter disporre.

Lo stimolano, lo mettono alle strette; ed ecco che una violenta tentazione sorge nel suo animo: con pochi casi propizi, le sue perdite possono essere riparate... Prendendo convulsivamente tra le sue dita il portafogli, e sul punto di aprirlo; quando una voce interna gli grida dal fondo del cuore: NON LO FARE! ed egli si ferma ad un tratto; un freddo sudore gli bagna la fronte; sta a un filo di svenirsi, getta sul tappeto uno sguardo pieno di spavento, ed esce barcollando dall’antro funesto, ove il suo onore è per essere esposto ad un pericolo cosi eminente. Appena fuori, riacquista le sue forze ed in un a queste un sentimento inenarrabile di felicità; questo primo trionfo ottenuto sopra una passione che lo avvilisce ai suoi propri occhi, gli prova che sarà in grado ormai di vincerla intieramente. Da quest’istante il velo è squarciato; una nuova vita gli si schiude innanzi; certo egli espierà il suo passato, rimanendo in una posizione oscura; ma il titolo di onesto e d’ irreprensibile lo ricompenserà di tutto.

Queste promesse che B... si fece a sé stesso, le osservò religiosamente; giammai da quel giorno in poi fece una partita alle carte o ai dadi; e ciò che lo rende vieppiù ammirabile ancora, si è che, essendosi ammogliato, gli fu giuocoforza per mantenere la famiglia, di accettare un impiego in una casa di giuoco ove rimase moltissimi anni, senza abbandonare una sola volta la sua coraggiosa risoluzione. Arrogi che B... gnari contemporaneamente di una malattia di cuore che gli avevano cagionate le emozioni del giuoco".

 

A conclusione, riportiamo quanto scrisse l’Avv. Augusto Lipparini a proposito delle cause responsabili del pauperismo 4 in Italia verso la metà del sec. XIX. Fra i tanti motivi, l’autore individua anche i vizi, fra cui quello del gioco che spinge l’uomo alla ricerca di un guadagno facile senza dover lavorare. La sua disamina, che indulge anche nell’introspezione psicologica, benché finalizzata a evidenziare problematiche di tipo economico, sottolinea ben chiaramente la spinta emozionale di tutti i giocatori di ogni tempo ossessionati dalle carte. 

 

“Esaminiamo di volo alcuni dei vizi principali ai quali gli uomini si abbandonano; guardiamo le passioni violenti e sfrenate a cui si danno in braccia con spensieratezza e voluttà, se vogliamo fermarci un concetto della massima influenza che hanno nella materiale e morale rovina dell’esistenza loro. Vedete ad esempio il giuocatore nelle diverse fasi della indomabile sua passione. Egli si sente trascinato dalla smania di guadagnare senza lavoro; la vertigine dell’oro amassato senza fatica, lo affascina, lo incatena e lo travolge in una voragine senza riva e senza fondo. Col cuore corrotto, colla mente offuscata, si affida con trasporto ai capricci della sorte. Conosce benissimo che quel vizio abominevole è la sua rovina; egli sa che la famiglia sarà ridotta a miserabile condizione consumando ogni sostanza; non importa; dimentico delle affezioni più care, allontanando ogni delicato sentimento, ci corre ad un tavolo, si asside fremente, e risoluto si abbandona alla libidine del giuoco. Colle guancie rosse, coll’occhio infuocato, coll’animo travolto da mille contrarie emozioni, caccia in balia dell’azzardo somme considerevoli; sta trapidante ed affannoso sullo scoprirsi d’ una carta, sul gettito d’un dado: si tratta di tutto guadagnare o di tutto perdere: dipende da una combinazione, da un caso imprevisto il buon o cattivo esito del giuoco! Ma la fortuna gli è avversa: per una malaugurata disdetta egli perde d’un sol tratto un peculio importante; si trova spogliato in un momento di una sostanza che prima formava buona parte del suo patrimonio. Allora la passione lo esalta, respinge sdegnoso ogni buon consiglio della ragione, soffoca adirato quel senso intimo che lo avvisa del male che commette, schiaccia in cuor suo con riso beffardo ogni rimorso di coscienza. Stoico apparentemente, si infervora e si accanisce sempre più alla sua rovina e con delirio infrenabile, punta con maggior energia, giuocando doppia la somma primitiva, onde avere la rivincita delle perdite fatte. Ecco l'istante decisivo, si mescolano le carte, si alzano, si ripartiscono, si scoprono: in quel momento più che mai, il cuore, l’anima, i sensi e tutto il suo essere è nel giuoco che segue con sguardo fiso ed impaziente. Un destino iniquo pare predomini quello sventurato; una stella avversa lo perseguita: egli ha di nuovo perduto. Annientato, avvilito e confuso, guarda senza vedere, ascolta senza comprendere, ed un alterazione convulsa e nervosa paralizza ogni suo sentimento e gli dà vertigini dolorose che cerca di celare con calma apparente, sotto la quale vuol nascondere inutilmente le torture del cuore, la disperazione dell’animo. Pallido, cogli occhi lividi, colle idee sconesse, se ne ritorna sul far del giorno alla sua abitazione in seno alla propria famiglia, ove gli si offre lo spettacolo incantevole de’ teneri figliuoletti che con sonno placido su molli piume non s’attendono alla miseria che li minaccia per i vizi di un padre snaturato. In questi, si ridestano gli affetti del cuore, ed a colpo d’occhio misura la grandezza della sua colpa e le conseguenze che ne derivano. Come fare a ripiegarvi? Non ha che due vie da scegliere: o diventare laborioso, o tentare ancora la fortuna; ma la prima non è più possibile; le emozioni passate, le abitudini di una vita oziosa e rotta ad ogni vizio, hanno estinto il gusto, la tendenza al lavoro; rimane la seconda, è però la fatalità avendogli tolta ogni possibile risorsa onesta, è costretto di ricorrere all' astuzia; il giuoco è condotto dall’arte non più dall’ azzardo; esso non è più un vizio è un delitto. Con animo vile e depravato il giuocatore ruba agli inesperti; a sua volta spoglia, colui che in buona fede ha la disgrazia di capitargli fra le mani. Ecco come questo vizio abominevole faccia diventare giuocatori di mestiere anche molte distinte persone, le quali, oltre a penose ristrettezze economiche, abbrutendo il cuore ad ogni gentile affetto, travolgono nel fango e nell’ infamia nome ed onore. Dopo ciò è facile rilevare la conseguenza: il giuoco contribuisce a fomentare il vizio ed è nocivo tanto all’ individuo che alla società, dacchè produce un infruttifero spostamento di capitali immensi ed importanti” 5-6.

 

Note

 

1. G.B.F. Descuret, La Medecina delle Passioni ossia le Passioni Umane considerate in relazione colla Medicina, colle Leggi e con la Religione, Nuova Traduzione di Francesco Piquè di Livorno, Volume Secondo, Milano, Francesco Pagnoni, Tipografo Editore, 1873.

2. Ibidem, pp. 224-251.

3. G.B.F. Descuret, cit., Volume Primo, 1872, pp. 213-214.

4. Pauperismo: Fenomeno economico e sociale per cui in determinati periodi larghi strati della popolazione sono colpiti dalla miseria in conseguenza di un complesso di fattori di varia natura (quali penuria di risorse naturali e di capitali, scarso spirito di intraprendenza, cattiva distribuzione della ricchezza, ecc.) o anche di fatti eccezionali (guerra, carestia, crisi economica, inflazione acuta ecc.), che possono suscitare gravi situazioni di depressione economica e di disoccupazione, o accentuare squilibri già esistenti (Voce Pauperismo, Enciclopedia Treccani. it).

5. Augusto Lipparini, Del Pauperismo in Italia. Principali cause e rimedi, Bologna, Stab. Tip. Di Giacomo Monti, 1873, pp. 45-49.

6. Si veda per maggiore informazione sull’argomento Leonardo e le Carte (Il mondo dei giocatori di carte fra perseveranti e redenti - secc. XV-XIX).

 

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